Massimo Zubboli.
Ha navigato come ufficiale su navi che lo hanno portato a conoscer il mondo. Insegnante, giornalista e attivo collaboratore di organizzazioni che operano nel settore della pace, della solidarietà e della tutela dell’ambiente. Ha scritto diversi libri dedicati al mare, alla marina e agli eroi. Partecipa al Concorso 50&Più per la quarta volta. Vive a Assisi (Pg).
Era da poco entrata la primavera del 1947 ed i miei genitori, sempre premurosissimi, condussero me ed i miei due fratelli dal medico di famiglia. In quei brutti periodi si percepiva ancora il “rumore della guerra” – non era facile trovare tutto ciò che i ragazzi avrebbero dovuto mangiare per facilitare la crescita e per diventare sani e robusti. Il nostro “dottore” non si limitò a prescrivere l’odiatissimo “olio di fegato di merluzzo”, per “buttarlo giù” la mamma, il babbo e le indimenticabili zie dovevano escogitare proposte stranissime per convincerci a quella ‘‘tortura’’.
Con voce sicura ed autorevole il medico disse a mio padre: “devi fare un grosso sacrificio perché i ragazzi hanno proprio bisogno di iodio, di mare e di sole. Li devi portare a Falconara”. Suggerì Falconara poiché era già spiaggia degli Umbri e si raggiungeva bene con il treno. Non mi interessa dove andrete – disse poi alla fine dell’accurata visita – se a Fano, Falconara o Palombina, è importante però che i ragazzi cambino aria, mangino pesce per ben prepararsi a sopportare il prossimo inverno.
Papà Luciano non si fece ripetere l’invito; aveva enormemente a cuore la nostra salute, per cui dopo pochi giorni prese il treno per Falconara per fare un “sopralluogo”, per trovare una soddisfacente sistemazione al groppo di famiglia Tornò la sera stessa. Ci disse che aveva risolto il problema prenotando una camera al “Cantinone”: una piccola pensione non molto lontana dalla spiaggia, ma vicinissima alla “Nazionale” ed alla Stazione Ferroviaria.
Finalmente arrivò il primo Luglio: il giorno della partenza. L’avevo atteso con ansia e la mamma ci coinvolse nella preparazione dei bagagli, l’aiutammo quanto potemmo. Mio padre decise che avremmo raggiunto la nostra città balneare con il treno, imbarcandoci direttamente a Foligno. Ci accompagnò alla stazione un amico di famiglia che faceva il tassista, con una grossa automobile antecedente la guerra, allora se ne servivano i pochi, ma ricchi turisti, ben tenuta, verniciata di nero e verde e con l’interno ricco di rivestimenti di velluto grigio scuro e di legno lucido e con pesanti tendine di stoffa pregiata. Durante la notte che precedette la partenza dormii molto male: il pensiero di salire per la prima volta su di un treno e di scoprire poi il mare mi aveva reso nervoso tanto i due “eventi” per me erano straordinari e fantastici.
Alla Stazione non c’era molta gente; era caldo e subito ci mettemmo in ordine, schierati come soldati in attesa della “tradotta”. Io e i miei fratelli eravamo già vestiti da mare: cappellino chiaro in testa, camicetta bianca con fiorellini e palloncini ricamati a mano, calzoncini corti con le bretelle incrociate ed infine ai piedi i famosi sandali “Giglio”, quelli che la pubblicità sosteneva che andassero bene “per il padre e per il figlio”. Mamma Maria mi aveva affidato un sacchetto con le vivande per il viaggio che tenevo a tracolla come i bambini che partivano per le colonie marine o montane. Intanto aumentava la frenesia, mista all’angoscia dell’attesa della possente e sbuffante locomotiva che si portava dietro i vagoni per Falconara ed Ancona. Nella stazione c’era un certo movimento di convogli ferroviari, pertanto ebbi la possibilità, come preambolo, di vedere due “Littorine” che partivano per destinazioni diverse.
Papà Luciano all’improvviso diede il segnale: il treno stava per arrivare per cui ci dovevamo tenere pronti, lontano dai binari. Ebbi un tuffo al cuore, incominciai a sentire freddo ed a battere i denti come se fossi stato in alta montagna La mamma si accorse subito che qualcosa in me non funzionava bene, mi venne vicino e mi strine a sé. Da quel momento mi sentii protetto e pronto ad affrontare la “prova”. Preceduta da fischi, sbuffi, stridore di freni finalmente il “grosso bestione fumante” ci fu quasi addosso. Potemmo vedere gli uomini addetti alla sua conduzione: quelli che gettavano il carbone nella ampia “bocca” rovente; il loro viso e le braccia erano ricoperte “di polvere nera, intorno al collo tenevano uno straccio di colore scuro. Si doveva salire a bordo del vagone che mio padre aveva scelto, prendemmo posto e i genitori ci fecero affacciare ai finestrini per assistere alla partenza, all’ordine che avrebbe impartito l’impettito Capostazione il quale poi con paletta e fischietto diede il via al Capotreno. L’apparato motore della “vaporiera” fu sottoposto al massimo sforzo, gli stantuffi spingevano allo spasimo, le ruote giravano a vuoto, ma dopo pochi secondi il convoglio fece i “primi passi”, vibrando e agitandosi quasi non volesse rispondere agli ordini del “padrone”. Finalmente prese il via e l’andatura si fece meno traballante, finirono gli scossoni. Con il permesso dei genitori potemmo restare nel corridoio in piedi a guardare dal finestrino che, per precauzione la mamma aveva alzato oltre la testa in modo che i nostri occhi non fossero colpiti dal denso fumo, dalla fuliggine e dalle ceneri che fuoriuscivano dalla ciminiera della locomotiva.
Le stazioni in cui si fermò il convoglio furono molte, ma non mi interessava il tempo che il treno avrebbe impiegato per arrivare a Falconara, ero troppo preso da ciò che attimo dopo attimo mi si presentava agli occhi. A Fabriano la sosta fu un po’ più lunga. Papà Luciano ci parlò della Cartiera Milani e ci indicò un grosso stabilimento non molto lontano dal quale fuoriuscivano fumi bianchi; sapemmo che produceva carta speciale e che spesso aveva fornito anche la nostra tipografia. Non mi soffermai molto su queste indicazioni poiché, coinvolto dal primo viaggio in treno, già pensavo che avrei visto il mare di cui tanto avevo sentito parlare e che in certi punti era verde scuro e profondo anche qualche chilometro, più della distanza fra Assisi e Santa Maria degli Angeli, mi aveva detto la maestra e ciò mi aveva impressionato molto.
Comunque stavo per fare la grande scoperta. Avevo dimenticato il fascino del treno tanto aspettavo di scoprire la immensa distesa blu. Dopo la partenza dalla stazione di Jesi i genitori lasciarono i loro sedili di legno per avvicinarsi a noi figli; intuii subito che qualcosa di grosso stava per accadere. L’attesa diventava insopportabile anche perché il treno, noncurante della nostra ansia, continuava a fermarsi in tutte le stazioni che incontrava. La mamma mi prese in braccio quando papà Luciano le fece un segno con il capo: significava che mancava poco al grande evento, mi accostai a lei e la tenni stretta stretta chiudendo gli occhi quasi avessi paura di trovarmi all’improvviso di fronte alla grande massa di acqua salata.
Finalmente il convoglio, che marciava a discreta velocità, incominciò a rallentare, non certo per facilitare la scoperta del mio mare, ma perché si stava avvicinando la stazione di Falconara Marittima La mamma che già in passato aveva visto l’immensa superficie azzurra mi fece girare la testa verso l’esterno e all’improvviso una intensa luce colpì i miei occhi. Li sbarrai immediatamente arricciando il naso. Li riaprii e fissai il mare a bocca aperta con una espressione tra lo stupito e l’incredulo. Dissi: “ma è così grande e bello?”. Poi mi venne da piangere e i denti ripresero a tremare come al momento della partenza da Foligno.
Nel frattempo il treno ridusse molto l’andatura e ci rendemmo conto che stavamo arrivando. Io non diedi ascolto ai genitori che mi invitavano garbatamente a prepararmi per scendere, mi ero aggrappato al finestrino e sebbene il mare ormai apparisse e scomparisse tra le case, le grosse costruzioni e la vegetazione, non potevo fare a meno di abbandonare quella vista di sogno. Riavutomi da quel primo “contatto” con il mare chiesi subito di andare a scoprirlo meglio, “a toccarlo”, per rendermi conto di averlo a “portata di mano” di poter gustare i suoi colori e scoprire la sua “musica”. La mia felicità era immensa e tutto ciò che mi circondava era ormai impresso nei miei occhi, sazi di emozioni.