‘Help, help’. Sono queste le parole che Yasmine pronunciava con voce estenuata e stanca quando i suoi occhi hanno incontrato quelli di chi l’ha salvata dalle acque del Mediterraneo, dopo tre giorni di agonia.
Il suo viaggio, come quello del fratellino, era iniziato in Sierra Leone, quella parte di mondo così tanto disgraziata, violenta e violentata tanto quanto lontana dal nostro modo di vivere e di pensare, lontana dagli agi e dal benessere a cui siamo abituati, come se nascere nei paesi ‘giusti’ sia già di per sé un privilegio. Suo fratello non ce l’ha fatta, è morto in mare. Insieme a lui altre 43 persone: tutte in rotta verso l’Italia in cerca di una vita degna di questo nome. Succedeva a dicembre, a pochi giorni da brindisi natalizi e panettoni farciti.
Yasmine, mentre scriviamo, è diventata per tutti noi un simbolo di speranza, di tenacia. La sua storia però è anche il simbolo di una tragedia che si ripete con una frequenza dolorosissima e che apre tanti interrogativi. Le immagini dei migranti sui barconi sono entrate così spesso nelle notizie che guardiamo in tv che ormai rappresentano quasi una “non-notizia”. Cosa siamo diventati? Dov’è il richiamo all’umanità? Yasmine è sopravvissuta, potremmo dire che “dopotutto è una storia a lieto fine”. No, è uno schiaffo in faccia. Perché nessuna bambina e nessun bambino devono sperare di sopravvivere. Le immagini che tutti noi vorremmo vedere sono quelle di volti sorridenti e le lacrime vorremmo vederle solo quando un giocattolo si rompe o quando non è il momento di mangiare un gelato.
Dietro ogni numero, ogni statistica, si celano vite, storie, sogni infranti. Dovremmo fare tutti uno sforzo per andare oltre le paure, gli stereotipi, le divisioni che troppo spesso lacerano la nostra società. È arrivato il momento di agire, di superare le divisioni e di costruire insieme un futuro più giusto e solidale. L’Italia, terra di accoglienza e di culture millenarie, ha un ruolo fondamentale da svolgere. Chi fugge da guerre, povertà e persecuzioni non è un nemico, non mette a repentaglio la nostra sicurezza, rappresenta un’opportunità per arricchire il nostro paese, dal punto di vista culturale, sociale ed economico.
I migranti non sono un problema. Sono braccia che lavorano, menti che innovano, passati che arricchiscono. Investire nell’inclusione significa salvare vite – certamente – ma anche investire nel futuro del nostro paese. Il tutto all’interno di un sistema di accoglienza che sappia salvaguardare i diritti di ognuno, migranti e residenti. Certo, la strada è ancora lunga e tortuosa. Le campagne di sensibilizzazione e gli aiuti umanitari, come le attività promosse dall’Unhcr che Chiara Ludovisi racconta per noi alle pagine 26 e 27, sono fondamentali, ma non bastano. Smantelliamo i muri che dividono e promuoviamo un’educazione all’intercultura, costruiamo una società più inclusiva, accogliente e giusta.
L’umanità è un valore universale, un patrimonio comune che dobbiamo difendere e trasmettere alle future generazioni. Yasmine ci ricorda che siamo tutti figli dello stesso mare. Yasmine ci ricorda che – se abbiamo la fortuna di nascere dalla parte giusta del mondo – abbiamo anche il dovere di impegnarci affinché nessuno si senta escluso. Yasmine ci ricorda che vivere non deve essere un privilegio. Perché, come disse l’astronauta Jurij Gagarin ‘la terra da quassù è bellissima, senza barriere ne confini’. Impegniamoci perché Yasmine si è salvata, lei ha ancora un’occasione per correre libera e costruirsi un futuro ma non dimentichiamo mai il destino di tutte le bambine e di tutti i bambini che oggi sono solo un numero su barconi che non sono mai arrivati dall’altra parte del mare.
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