Nel 2024, la piattaforma X (ex Twitter) si è confermata un vero e proprio catalizzatore di intolleranza in Italia.
Secondo l’ottava edizione della Mappa dell’Intolleranza, un progetto ideato da Vox (Osservatorio Italiano sui Diritti) in collaborazione con le Università di Milano, Bari e Roma, il 57% dei tweet analizzati nel periodo tra gennaio e novembre 2024 conteneva messaggi d’odio. Una cifra impressionante che evidenzia un incremento preoccupante dell’hate speech nel dibattito online.
La ricerca ha individuato sei categorie particolarmente colpite: donne, ebrei, stranieri, musulmani, persone con disabilità, omosessuali e transessuali.
Donne, ebrei e stranieri: le categorie più bersagliate
Come nelle precedenti edizioni, le donne sono risultate la categoria più colpita, con il 50% dei messaggi d’odio diretti contro di loro. Un dato ancora più allarmante riguarda il fatto che un tweet misogino su cinque proviene da utenti donne, segnale di un fenomeno di auto-oggettivazione che alimenta ulteriormente il sessismo.
L’antisemitismo ha registrato un’impennata forte, passando dal 6,59% di due anni fa al 27% nel 2024; una crescita legata anche agli eventi geopolitici, come il conflitto in Medio Oriente.
Contestualmente, sono aumentate le espressioni di odio verso i musulmani e gli stranieri in generale, con un’escalation della xenofobia. La ricerca evidenzia inoltre una presenza costante di messaggi di odio contro le persone con disabilità e contro la comunità LGBTQ+, con una particolare intensificazione della retorica omotransfobica.
Dalla diffusione alla “verticalizzazione” dell’odio
Uno degli aspetti più significativi emersi dall’analisi è il passaggio da una diffusione generalizzata dell’odio a una sua concentrazione sempre più mirata.
Se in passato i messaggi d’odio si espandevano in maniera relativamente uniforme su diverse tematiche e gruppi sociali, oggi assistiamo a una “verticalizzazione” del fenomeno. Questo significa che l’intolleranza online non si propaga più orizzontalmente, ma si focalizza su bersagli specifici, diventando più intensa e polarizzata. Il clima globale, segnato da conflitti, elezioni americane e l’ascesa di movimenti populisti, ha ulteriormente accentuato questo fenomeno.
I social network, in questo contesto, agiscono come amplificatori, facendo da cinghia di trasmissione tra media tradizionali, politica e sacche di malcontento sociale.
La geografia dell’odio digitale in Italia
La mappa dell’intolleranza mostra che le grandi città italiane sono i principali epicentri dell’odio online. Milano si distingue per il maggior numero di tweet misogini e xenofobi, mentre a Roma si registra una più alta concentrazione di messaggi antisemiti e omotransfobici. Questo dato è in parte influenzato dalla maggiore diffusione della piattaforma X nei centri urbani, dove il dibattito politico e sociale è più acceso.
Il ruolo degli stereotipi nella diffusione dell’hate speech
Per la prima volta, i ricercatori hanno utilizzato i Large Language Models (LLM) per analizzare il ruolo degli stereotipi nella generazione e diffusione dell’odio online. L’intelligenza artificiale ha permesso di evidenziare come i background culturali fortemente strutturati favoriscano la propagazione di messaggi discriminatori.
L’analisi ha identificato la presenza di vere e proprie “camere d’eco”, ambienti digitali in cui il discorso d’odio trova terreno fertile per rafforzarsi e diffondersi, alimentando una spirale di radicalizzazione. Secondo il rapporto di Vox, questo meccanismo dà origine a una “Piramide dell’odio”, dove gli stereotipi radicati nella società fungono da base per la costruzione di un clima sempre più ostile nei confronti di determinati gruppi.
Oltre il web, le conseguenze reali dell’odio online
L’odio online non si limita alla sfera digitale, ma ha ripercussioni concrete sulla vita reale.
La ricerca evidenzia la correlazione tra la normalizzazione del linguaggio d’odio sui social e l’aumento di episodi di violenza fisica. Quando l’odio diventa un elemento accettato nel discorso pubblico, può abbassare la soglia di inibizione verso comportamenti aggressivi.
I femminicidi sono un tragico esempio di questa connessione: la misoginia diffusa sui social contribuisce a creare un clima culturale che disumanizza le donne, rendendo più “accettabile” la violenza nei loro confronti. Lo stesso meccanismo si applica al bullismo e al cyberbullismo, che spesso si intrecciano, generando un continuum di violenza che attraversa sia il mondo digitale che quello fisico.
Una nuova consapevolezza digitale
Di fronte a questa realtà, emerge sempre di più la necessità di educare all’uso responsabile dei social network e di ripensare il rapporto tra mass media, piattaforme digitali e utenti.
La soluzione non può limitarsi alla responsabilità individuale, ma deve coinvolgere tutti gli attori dell’ecosistema informativo. Non si tratta solo di insegnare il galateo digitale, ma di promuovere una cultura della consapevolezza, affinché ogni utente comprenda le conseguenze reali delle parole scritte online.
© Riproduzione riservata