I Whitley Award sono destinati a progetti che salvaguardano gli animali selvatici e la natura, purché realizzati in Paesi poveri e con l’intervento determinante delle popolazioni locali. I vincitori di quest’anno.
Il Whitley Fund for Nature è un importante ente di beneficenza britannico che finora ha erogato 23 milioni di sterline a circa 220 conservation leader – come li definisce – che operano in 80 Paesi nel sud del pianeta in progetti legati alla tutela delle persone, dei paesaggi e della fauna selvatica. Ogni anno assegna i Whitley Award, il Whitley Award Gold e alcuni Continuation Funding, questi ultimi destinati a chi ha già vinto uno dei precedenti premi, al fine di permettere la continuazione dell’attività proposta.
Giuria e modalità
I premi sono assegnati da una giuria che, oltre ai dirigenti del WFN, a cominciare dal fondatore Edward Whitley e dalla direttrice Danni Parks, comprende personalità della ZSL, la società zoologica di Londra, che ha come scopo “aiutare le persone e gli animali selvatici a vivere meglio insieme”, della FFI, Fauna & Flora International, società che opera per “proteggere la diversità della vita sulla Terra”, del WWF e della BBC, più alcuni ex vincitori.
Per ottenere le 50.000 sterline dei sei award e le 100.000 di quello gold bisogna essere integrati nelle comunità locali e proporre dei progetti da realizzarsi in team ancorati alle nuove scoperte della scienza. Inoltre devono essere sostenibili per il futuro, avvantaggiare le collettività in cui si sviluppano, dimostrare con la propria storia e con l’evidenza possibilità di successo e offrire un buon rapporto qualità/costo. Va sottolineato poi che non vengono accettate proposte provenienti da Paesi che hanno economie ad alto reddito (secondo i dati della Banca Mondiale), presentate da operatori che non vivono sul posto, dedicate ad animali in cattività o di allevamento oppure di pura accademia e non di intervento diretto.
I premi 2024
Quest’anno il Whitley Gold Award è andato alla biologa Purnima Devi Barman, che da anni opera nelle zone umide dell’Assam, in India, per incrementare il numero di marabù asiatici. Il suo obiettivo è raggiungere i 5.000 esemplari entro il 2030. Finora sono passati da 450 a 1.800, grazie al suo lavoro, che è anche culturale ed educativo, perché queste cicogne sono poco amate, dato che si nutrono di carogne e di piccoli vertebrati.
La salvaguardia di un altro uccello, il cardinalino del Venezuela, è valso un premio a Leroy Ignacio, che ne protegge l’habitat in Guyana, in un territorio abitato da cinque popolazioni indigene, di cui riprende le pratiche con la ONG che ha fondato.
Ancora un uccello è quello protetto da Raju Acharya nel Nepal centrale. Si tratta del gufo, i cui richiami e la cui presenza, secondo gli indigeni, sono associati al verificarsi della morte. L’azione di Acharya, iniziata nel 2020, punta a contrastare la caccia illegale, a proteggere il loro habitat e all’installazione di nidi artificiali, oltre a far cambiare la percezione negativa della comunità.
Da notare come nel 2023 abbia vinto, sempre nel Nepal centrale, l’attività di Tulshi Laxmi Suwal a tutela dei pangolini, cacciati per il commercio delle loro scaglie, utilizzate dalla medicina tradizionale, e della loro carne, nonostante siano protetti dalla legge nazionale.
In aiuto ai primati
Kuenzang Dorji ha ottenuto il riconoscimento per il suo impegno nella protezione del presbite dorato di Gee, una delle scimmie più minacciate in assoluto. Dorji, in Bhutan, si è speso per permetterne la convivenza con i locali, che lamentano i danni ai raccolti causati dal presbite, che, perdendo il proprio habitat, si sposta verso le zone popolate. L’impegno è quello di avviare colture meno appetibili alle scimmie e altrettanto remunerative, quali zenzero, orchidee e funghi, e di attivare deterrenti non letali, come sagome di tigri che emettono ruggiti.
Il progetto “Reconecta” di Fernanda Abra si impegna lungo gli oltre tremila chilometri dell’autostrada BR-174, che taglia a metà la foresta amazzonica in Brasile, a installare ponti artificiali per i primati (non riuscendo a spostarsi da un albero all’altro rischiano di essere investiti), sorvegliarli e fare manutenzione regolarmente. Premio meritato anche per aver coinvolto i nativi waimiri-atroari, popolo in grave crisi di sopravvivenza.
A difesa delle aree lacustri e marine
Le specie invasive sono spesso dannose. Lo dimostra anche la salvinia gigante, che, originaria del Brasile, stava soffocando il lago Ossa, in Camerun, uccidendone la popolazione di lamantini africani, una specie di piccoli trichechi, classificata come vulnerabile dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura. Aristide Kamla ha contribuito a combatterla, con l’aiuto dei pescatori del posto e l’utilizzo di un coleottero, “predatore” naturale della pianta (il punteruolo della salvinia), preservando l’ecosistema lacustre e sostenendo le attività economiche a esso collegate.
Infine, ineccepibile il premio a Naomi Longa, il cui straordinario lavoro con il suo team al femminile The Sea Women of Melanesia sta difendendo, monitorando e conservando una delle zone marine più belle del mondo, la baia di Kimbe, in Papua Nuova Guinea. Situata nel triangolo corallino dell’Oceano Pacifico occidentale, è un’area di incredibile biodiversità marina, contiene circa 6.000 barriere coralline create da 605 specie differenti (il 76% di quelle esistenti) e oltre 800 specie marine, tra cui il pesce sega dai denti grandi, lo squalo Pondicherry e lo squalo martello smerlato, le tartarughe olivastre e le tartarughe liuto, e la balenottera boreale.
(Foto di copertina: Pagina Facebook Whitley Fund for Nature)
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