Critico militante e sperimentalista letterario, attraverso una serie di aneddoti, accompagna i lettori alla scoperta dell’Italia del secondo ’900.
Professore emerito dell’Università La Sapienza di Roma, Walter Pedullà prova a mettere ordine nei ricordi con il suo ultimo libro. A 90 anni, dopo aver fondato tre riviste letterarie, diretto una casa editrice, essere stato per decenni critico letterario dell’Avanti!, ai vertici della Rai e del Teatro di Roma, è ancora un abile narratore.
“Un volo d’uccello sulle tue mille vite”, così definirei Il pallone di stoffa! Ma con quale sentimento hai voluto scrivere questa tua autobiografia?
Di vita c’era anche troppa, c’era solo da scegliere. Mancava la letteratura, ma questa, diversamente dal coraggio, se uno non ce l’ha se la procura con il tono giusto. A me viene naturale l’umorismo, comicità che non risparmia il portatore. “Giro, giro tondo eccetera… tutti giù per terra!”. Insomma la vita presa in giro con divertimento infantile.
Il passato remoto (scrivi) diventa presente infinito. Fin dall’inizio di un ragazzo del Sud che, con proverbiale determinazione, diventa allievo e poi assistente di Giacomo Debenedetti e dopo fa tutte le cose che tu sei riuscito a mettere insieme…
Temendo di non avere le qualità per trasformare il passato remoto della vita in infinito presente della letteratura, ho puntato tutto sulla quantità. La vita di tutti, non solo la mia. La mia è l’autobiografia di coloro che nel secondo ’900 si sono messi assieme per capire passato e presente con vista sul futuro. Ci aiutava una buona visione.
Una vita per tanti aspetti anche pubblica, con varie responsabilità: Rai, Teatro di Roma, giornali, editoria… Cosa pensi che abbia dato di più l’intellettuale, il critico, il saggista in questi suoi impegni?
Direi l’intellettuale, battaglia quotidiana sull’attualità ribadita dalla precarietà del critico. Le idee passano, gli stili restano? Spero che resti il saggista, cioè l’intellettuale che dà stile alle idee e alle fantasie del critico. Ma forse la migliore è la quarta via: il professore. Ho insegnato dai 19 ai 75 anni. Il professore come intellettuale, critico e saggista.
Il critico militante che per una recensione spende anche trenta ore, mentre molti altri magari i libri solo li annusano. Questo esercizio di tanti anni in cosa ti ha arricchito?
Cercavo nei libri tutti i livelli di realtà e di cultura, alla ricerca dello scrittore nascosto agli occhi e alla mente del lettore pigro. Per quello che si vede non serve un critico. Ho sempre provato a legittimare un mestiere che è inutile se si limita alle impressioni superficiali. Approfondendo l’indagine letteraria ho imparato a interpretare la vita come fenomeno in cui cercare all’infinito. Con Pizzuto condivido l’opinione che l’arte consiste nell’aggiungere vita alla vita. Il senso? Al critico tocca indovinare la direzione. Allora, parola di Benjamin, urge generare esigenze. Questa dell’arte è una storia che non arriva mai a conclusione. È il bello della vita.
Hai vissuto accanto a tanti scrittori, Pagliarani, D’Arrigo, Gadda… Sei stato l’amico, il critico, forse anche il suggeritore dietro le quinte, una necessaria sponda dialettica per il loro lavoro?
Ponevo domande cui faticavano a rispondere, ho messo qualche pulce nell’orecchio di scrittori non sordi. Senza l’oralità, cioè senza la calda vita, la scrittura non ha né sapore né sapere.
È davvero inconsueto che un intellettuale o un letterato arrivino ai vertici di un’istituzione come la Rai. Da quella altezza, come l’hai vista e come ancora la vedi?
La Rai non è la Bbc; ma non è la Bbc, cioè la Tv veritiera, nemmeno la Bbc. Non è la Rai, però, la peggiore Tv. L’informazione sia più trasparente, faccia meglio il servizio pubblico, non sia un servizio segreto. È utile conoscere il retroscena: c’è sempre altro dietro quanto appare.
A novant’anni hai vissuto come tutti noi l’esperienza della pandemia. Come la giudichi a partire da questa tua “fragilità”?
L’età mi assegna da sempre alla “zona gialla”; ho tollerato l’“arancione” perché correggevo le bozze dell’autobiografia. Durante la “zona rossa”, come tutti i vecchi, vedevo nero. Nella “zona bianca”, che corrisponde alla mia giovinezza, ero solito uscire di casa a un’ora in cui oggi scatta il coprifuoco. Io sono un animale notturno sia pure sempre in attesa che sorga il sole. È la mia natura: sono ottimista dalla nascita. Quando mi vengono in mente solo idee grigie, per nasconderle faccio del colore. Ed ecco l’arcobaleno!
E come pensi che reagiranno gli scrittori e i poeti alla catastrofe mondiale del Coronavirus?
Saranno convocati tutti i generi letterari, si affolleranno sul tema onnivoro realisti e fantastici, memorialisti e futurologi, simbolisti e giornalisti, ecc. Continuo a credere che chi racconta meglio le tragedie è il narratore comico. Leggendo agli amici Il processo, Kafka rideva.
Puoi dare un consiglio ad un giovane che oggi voglia scrivere, magari avendo come modello la tua realizzazione professionale, intellettuale, letteraria?
Un giovane deve trovarsi un lavoro che gli piaccia quanto un gioco. Se manca una vocazione, scelga un’attività che possa coinvolgerlo come un vizio. Un consiglio? Non prendermi a modello. Inventi il proprio e lo sottoponga a incessante verifica. Io ho amato svisceratamente tutti i modi di lavorare, dall’università al giornalismo, dal teatro alla politica. Un paradosso: per me il lavoro è un sostantivo plurale.
“Soltanto chi arriverà alla fine saprà se ha vissuto una vita tragica o comica”, così hai scritto. Ci puoi dare qualche anticipazione?
Ci sarà una sorpresa: la mia vita resterà una commedia, anche se non avrà un lieto fine.
Le memorie di un nonagenario
Che straordinario racconto è “Il pallone di stoffa” di Walter Pedullà, avvolgente e straripante, fluido e sorprendente, giocoso e ironico correre attraverso novant’anni con alle spalle il fatto decisivo, per l’imprinting autobiografico, di essere il suo autore morto e poi risorto una volta, quasi due.
Come “testo”, Walter Pedullà usa se stesso, ricordi, emozioni, passioni, illusioni, i pensieri che hanno attraversato la sua vita e l’hanno resa come lui ora la rappresenta al passo, al trotto, al galoppo, modulando con grande sapienza i vari registri. Il grande critico letterario, il professore che sa farti amare l’infinito intrattenimento della scrittura letteraria in un corpo a corpo continuo con la sua sostanza: i molti volti di un intellettuale così scintillante, coerente e concreto della sua stazza, trovano l’alveo giusto per dirci come è vissuto lo studente povero del Sud che è diventato critico militante, accademico, presidente Rai, responsabile di grandi imprese culturali.
Un’autobiografia davvero unica. Cinquecento pagine che si bevono in un baleno e non sai se incantano più certi sapidi lampi adolescenziali da narratore sagace o i deliziosi ritratti al volo di Ungaretti, Pagliarani, D’Arrigo.
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