A qualcuno potrebbe sembrare banale evocare in questo periodo le attività di volontariato come aspetti importanti della vita a tutte le età. Infatti, se ne discute sempre nei momenti di difficoltà delle organizzazioni sociali, quasi fosse una miracolosa ancora di salvezza. Invece, raramente si affronta la tematica quando si potrebbero mettere in atto scelte politiche stabili a favore di comportamenti di utilità, sia per il singolo sia per le collettività. Vi sono esempi, anche recenti, della scarsa attenzione delle istituzioni per questa modalità di collaborazione alla vita delle comunità.
Volontariato, un bene ad ogni età
Nel momento in cui scrivo queste note, alcuni ospedali italiani hanno inviato appelli agli operatori sanitari perché prestino volontariamente il loro tempo, al fine di sopperire alle mancanze di personale provocate dal Covid-19. È un grido di dolore importante, che dovrebbe far pensare all’impreparazione strategica dei servizi e alla funzione del volontariato, in alcune circostanze davvero insostituibile. Esercitare un servizio di volontariato è un momento significativo per chiunque, giovane o anziano. La propensione ad aiutare gli altri, infatti, non diminuisce con l’età. Si modificano gli impegni, la qualità del lavoro compiuto, però sullo sfondo resta il sentire positivo che deriva dalle azioni di aiuto agli altri. Un sentire positivo che si accresce con gli anni perché si acquisisce un’esperienza che fa percepire l’importanza soggettiva e oggettiva dell’atto di generosità.
I benefici del volontariato
Schematicamente si riconoscono all’atto di cura volontario aspetti oltremodo positivi; infatti, nella maggior parte dei casi l’attività volontaria richiede una programmazione, in particolare per definire il possibile tempo da mettere a disposizione; impone, inoltre, di misurare le proprie competenze rispetto alla funzione che viene richiesta, cioè di commisurare l’adeguatezza delle capacità psichiche e fisiche. Si tratta quindi di azioni che permettono alla persona di attivare sia funzioni mentali che fisiche non semplici, che diventano di particolare utilità soggettiva per la loro funzione stimolante, che ha anche riflessi biologici sull’encefalo. Questi meccanismi sono sempre utili, ma soprattutto in età avanzata hanno un ruolo di rilievo per controllare i processi di invecchiamento.
Il volontariato in terza e quarta età
Un altro aspetto da considerare, discutendo delle attività di volontariato nella vita dell’individuo non più giovane, è la disponibilità di questi ad abbandonare la poltrona, la televisione, le consuete abitudini giornaliere per intraprendere un investimento diverso delle proprie giornate. Vi sono barriere psicologiche da affrontare da parte di chi pensa di aver perso le proprie capacità relazionali (ricordo, a questo proposito, che gli appartenenti a 50&Più sono invece persone che nella vita lavorativa hanno spesso messo la relazione al centro della propria professione), così come vi è il timore di non essere fisicamente più in grado di affrontare i maggiori impegni imposti da un’attività di volontariato. È necessario saper superare questi timori e iniziare con il gusto di fare una prova con determinazione, sapendo che è necessario compiere atti che siano sempre leggermente superiori, come quantità di impegno, a quello che si riterrebbe possibile. Solo così si gusta il senso della vittoria sui propri limiti, spesso più ipotetici che reali, con una certa soddisfazione. Anche chi avesse iniziato con pessimismo ne trarrebbe vantaggi, perché si rende conto delle proprie potenzialità, talvolta offuscate dalla pigrizia, dalla mancanza di progetti, da una routine senza colore.
Nelle età più avanzate è utile diffondere la convinzione che l’attività volontaria mantiene giovani; infatti, è il risultato di una libera scelta che testimonia il desiderio di decidere in autonomia, anche fuori delle tradizionali abitudini. Inoltre, stimola l’attività cerebrale sul piano cognitivo, delle funzioni esecutive (perché si deve programmare e realizzare un certo progetto), dell’affettività, perché spesso tra chi aiuta e chi è aiutato si costruisce un ponte sul quale passano anche legami d’amore. Peraltro, quasi sempre, la disponibilità del proprio tempo comporta anche un’attivazione sul piano fisico, utile per conservare una buona funzione muscolare, del sistema cardiovascolare e respiratorio, dello stesso cervello. Così si instaura un meccanismo di rinforzo positivo che si riflette nell’immediato, ma soprattutto sui futuri anni, aperti ad altre possibili imprese positive.
Come fare attività di volontariato?
Nella vita di ogni famiglia si possono identificare bisogni di parenti vicini e lontani e di conoscenti che potrebbero trovare risposte nell’aiuto di volontari. Pur essendo un’opzione possibile, è opportuna l’adesione a gruppi di volontariato organizzato, perché è più facile seguire progetti se si è inseriti in un’attività di gruppo ben strutturata. Infine, a differenza del volontariato solitario, peraltro nobile nelle sue motivazioni, quando ci si aggrega ad un gruppo è più naturale mantenere i ritmi, non lasciarsi scoraggiare da momenti di difficoltà, non trasformare le possibili crisi momentanee in azioni di rinuncia, che possono compromettere una generosa storia di impegno. Il lavoro all’interno di un gruppo organizzato permette anche di condividere le soddisfazioni per quello che si fa con chi si è impegnato come noi, perché ciascuno ha sempre bisogno di rinforzi positivi!
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulle demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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