Istituita nel 2009 dalla Nazioni Unite, la Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario si celebra il 19 agosto. Fu voluta dopo il bombardamento della sede ONU in Iraq nel 2003 in cui morì, insieme a tante altre persone, Sergio Vieira de Mello, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. La testimonianza di Petro, intervistato vicino a Irpin, una delle città che ha più subìto le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina e che oggi tenta la ricostruzione.
Questa giornata è anche l’occasione per ricordare tutti quegli operatori umanitari che, nel mondo, sono in prima linea a supporto delle popolazioni in difficoltà. Lavorano in zone di conflitto, aree devastate da disastri naturali o epidemie, e portano un’assistenza salvavita alle persone.
Gli aiuti umanitari, infatti, comprendono il sostegno alle persone colpite da catastrofi naturali come terremoti, siccità, tsunami e uragani, o da situazioni provocate dall’uomo come conflitti armati, guerre e persecuzioni, che privano dei mezzi di sussistenza, mettono in condizioni di malnutrizione e carestie, costringono alla fuga dal proprio Paese d’origine o in altre zone dello stesso.
Chi si occupa della attività di soccorso
Le attività di soccorso che rientrano tra gli aiuti umanitari sono molteplici. Vanno dalla fornitura di cibo e acqua all’assistenza sanitaria, dalla garanzia di un rifugio alla protezione da violenza fisica e psicologica, inclusa quella sessuale e di genere. Fra le organizzazioni che se ne occupano ci sono le Nazioni Unite, la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa, le Ong nazionali e internazionali, che ricevono fondi da governi, ma anche cittadini privati e imprese.
La fornitura di assistenza umanitaria dovrebbe essere sempre basata sul rispetto dei principi di neutralità, imparzialità e indipendenza. Secondo il Consiglio d’Europa all’origine dell’80% delle esigenze umanitarie di oggi ci sono i conflitti armati. L’Unione Europea, con le sue istituzioni e i suoi Stati Membri, rappresenta il principale donatore di aiuti umanitari del mondo, e la sua azione in materia è disciplinata dall’articolo 214 del Trattato sul funzionamento dell’Ue.
I dati del Global Humanitarian Assistance Report: aumentano le emergenze, calano i fondi
Il Global Humanitarian Assistance Report 2022 evidenzia come i fondi stanziati per gli aiuti umanitari siano cresciuti costantemente fra il 2016 e il 2018, per poi subire un calo dell’1,28% fino al 2020.
Nel 2016 gli aiuti provenienti da fondi pubblici sono stati pari a 21,84 miliardi di dollari, quelli privati a 5,22. Nel 2018 i fondi pubblici hanno superato i 25 miliardi e quelli privati i 6, mentre nel 2019 il denaro pubblico investito in aiuti umanitari è sceso a 24 miliardi e quello privato è salito a 6,77. Dati quasi sovrapponibili si sono registrati anche nel 2020.
Eppure, nel corso degli ultimi anni, le emergenze non si sono ridotte. Secondo le Nazioni Unite nel solo 2020 sarebbero serviti quasi 40 miliardi di dollari per dare una risposta efficace alle crisi umanitarie in corso. I Paesi che devolvono più fondi negli aiuti umanitari sono gli Stati Uniti, la Germania e il Regno Unito, che insieme nel 2021 hanno totalizzato il 50% degli aiuti globali.
I Paesi riceventi e la guerra in Ucraina
I principali riceventi, sempre lo scorso anno, sono stati lo Yemen e la Siria, seguiti da Afghanistan, Etiopia e Sud Sudan. Con l’invasione russa e la guerra ancora in corso, anche l’Ucraina è entrata a far parte dei Paesi in grave emergenza umanitaria. A giugno l’Unione Europea ha stanziato altri 205 milioni di euro in assistenza, per un totale di 348 milioni, dei quali 13 destinati a progetti in Moldova per il sostegno agli sfollati.
Oltre ai governi e agli enti sovranazionali, in Ucraina l’aiuto umanitario capillare è stato ed è tuttora possibile grazie anche ai cittadini comuni. Questi hanno saputo organizzarsi nella raccolta degli aiuti e nello smistamento di quelli provenienti dall’estero. Si tratta di persone come il signor Petro, che abbiamo intervistato vicino a Irpin, una delle città che più ha subito la devastazione e che oggi prova a ricostruire non solo le case ma anche una rete sociale fra i sopravvissuti che rientrano dopo un periodo di esilio nella parte occidentale del Paese o all’estero.
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