Gina Viviani Casanova. Scrittrice e poetessa per passione, ha composto romanzi, racconti, fiabe e liriche. Le sue opere hanno ricevuto molteplici riconoscimenti nazionali e internazionali e molte sono state inserite in Antologie letterarie. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Brugnato (Sp).
L’arte è cultura , ma anche sprone alla vita!
A volte basta un brano di musica…
un dipinto ci possono far sognare…
per estraniarci da un mondo saturo di apparenze,
di giudizi, di falsità
e trasportarci in una dimensione che lenisce i nostri affanni
che rinnovi il nostro spirito.
Ero tornata indietro a prendere la sciarpa, quella di lana color azzurro che mi aveva regalato la nonna, me l’ero avvolta al collo in quel rigido pomeriggio di Gennaio. I miei passi echeggiavano fra i muri degli antichi palazzi, mentre percorrevo quella via stretta, lastricata che si incrociava con altre vie parallele altrettanto anguste sembrava volessero mostrare un piccolo labirinto per chi non le conosceva. Ero diretta in Via Balbi alla Scuola Universitaria. Quel giorno senz’altro il docente di filosofia avrebbe commentato dei capitoli troppo pesanti riguardanti Kant che io non riuscivo a digerire, perciò meglio desistere evadere cercare spazio.
Avevo bisogno di respirare, di non pensare. Ma come era possibile? Mi era venuta un’idea! Perché non andare a vedere quella mostra di un pittore francese che visse a cavallo tra il Romanticismo e il Verismo, di cui mi aveva parlato ultimamente Livia, la mia amica? L’artista in vita non era stato molto apprezzato, solo dopo la morte avevano rivalutato le sue opere attribuendogli gli onori meritati.
Mi ero così diretta verso il salone delle mostre, Là mi sarei distratta un poco e avrei tacitato il mio spirito inquieto, provato, rassegnato ad una vita che aveva tagliato tutti i miei sogni senza riserva, senza pietà. C’era poca gente forse la poca conoscenza o forse quella giornata buia e fredda dove la pioggia sottile si mischiava col nevischio e non invitava ad uscire di casa ma, in fondo, io ci stavo bene in quel clima scarso e ovattato. Vagavo da un quadro all’altro alla ricerca di qualcosa che non sapevo definire. Mille pensieri affollavano la mia mente, mentre scorrevano dinnanzi ai miei occhi personaggi, volti, nature morte…
Isolata nella mia solitudine sentivo che l’angoscia ormai era la mia inseparabile compagna.
Ero conscia che solo l’arte come la pittura con le sue sfumature di colori e la musica con le sue note ora decise, ora dolci, ora intriganti, riuscivano a lenire quella pena che mi perseguitava. Non sarebbe passato molto tempo che sia ai docenti, sia ai compagni , non avrei più potuto celare il mio stato.
Ero al 6° mese di gravidanza e nel mio fisico esile, se si osservava bene, si poteva notare un certo arrotondamento allora nascosto dal paltò color crema che aveva una linea piuttosto comoda.
Quando davanti allo specchio, osservavo la pelle della mia pancia stirata, dilatata e il progressivo gonfiarsi, provavo un senso di disgusto… di vergogna… frutto imbarazzante di una storia iniziata e finita troppo in fretta, di una notte di luna, di una festa sul mare, di bottiglie di spumante vuote. Il suo respiro… il suo corpo troppo vicino al mio forse mi ero persa nei suoi occhi azzurri, nei modi raffinati, d’altri tempi non lo so! So solo che è stato un errore imperdonabile, l’inizio di un calvario. Non ho avuto il coraggio di parlarne con lui, né di andare a interrompere quel piccolo nucleo di cellule che pulsavano.
Ho voluto tenere per me questo trofeo del peccato precludendomi un futuro sereno, annullando le ambizioni e i sogni della mia giovane vita.
Là… passando in rassegna quei quadri , finalmente riuscivo ad estraniarmi… a lasciare da parte i miei travagli .Quei personaggi, così vivi, così reali, mi facevano sognare… le pennellate intense non a caso mi rapivano… mi prendevano per mano e mi portavano in quel contesto dove io ne facevo parte integrante . Intanto si espandeva una musica in sottofondo…io la conoscevo bene… era la musica di Verdi che si intonava perfettamente in quei contesti e assieme avevano il potere di portarmi indietro… indietro… fino alla mia infanzia… la mia adolescenza…
Ancora corse nei prati verso mete fantastiche… il frenetico rincorrersi a nascondino per le anguste vie del paese… le nostre grida rimbombare sotto gli archi … le birbonate innocenti di quei momenti magici che il tempo mi aveva strappato troppo in fretta.
Tornavano i giorni felici… l’impazienza di finire i compiti perché sotto casa gli amici facevano sentire la loro presenza. Udivo ancora le loro voci di Angela, Maria Teresa, Cristina, Giorgio, Roberto, Gianni, Massimo durante quel tempo che sembrava interminabile.
Vedevo ancora le scarpe logore di tutti noi… i salti senza fine con quella corda robusta, il grande pampano disegnato a terra e la nostra sete di antagonismo, quella smania di vincere per sentirsi importanti. Il ricordo nitido delle sere di Maggio quando spensierati , saturi di esuberanza, di gioia di vivere, davamo sfogo alle nostre imprese: assaltare gli alberi di ciliegie per poi mangiarne a crepapelle.
Ancora l’emozione del primo ballo il brivido del primo bacio sulla guancia da quel ragazzo dai riccioli biondi.
Tornava accanto a me mia madre… sentivo il suo respiro leggero i suoi passi veloci, la sua voce decisa perdersi per le pareti di quella sala troppo grande dove l’eco era meno accentuato… Avrei voluta raggiungerla, ma lei era sparita!
Catapultata nella realtà avevo guardato quella mia protuberanza e ancora una volta un senso di angoscia profonda mi aveva chiuso la gola.
Ero quasi alla fine della mostra quando i miei occhi si sono posati su un quadro che raffigurava un volto di donna… mi sono avvicinata e in quei lineamenti giovani e delicati che evidenziavano una bellezza remota, ho notato qualcosa di famigliare. Al viso faceva da cornice una folta capigliatura nera che offuscava un po’ gli occhi grandi e scuri, immersi nel vuoto. Guance pallide e ben delineate dalle rughe di espressione, mentre sulle labbra a forma di cuore, appariva una smorfia si un sorriso beffardo , privo di gioia, che esprimeva piuttosto delusione e rassegnazione.
Quel pittore aveva molto talento! Tramite l’espressione del viso aveva dipinto lo stato d’animo della giovane donna.
Sostavo lì davanti a quelle figure sconosciute, d’altri tempi nella mia mente formulavo domande e risposte. Perché tanta tristezza traspariva da quel volto? Cosa poteva esserle successo? Perché tanta amarezza in quello sguardo che avrebbe dovuto vivere i tempi migliori della vita?
Non riuscivo a staccarmi da quel ritratto quando “qualcuno” aveva fatto un gran rumore nel mio grembo… mi sono sentita scuotere l’addome e un dolore sordo che mi colpiva dal basso.
Mi sono appoggiata alla parete… un senso di nausea… di disagio di paura.
Un sudore freddo ha percorso il mio corpo, mentre sentivo i battiti del cuore pulsarmi ovunque. Cosa mi stava succedendo? Forse quel piccolo essere che stava dentro di me voleva farmi sapere che era vivo… che assimilava ogni mia pulsione, emozione, stato d’animo così, a sua volta, voleva trasmettermi le sue sensazioni?
Dentro di me c’erano un corpo, un’anima, una mente che sarebbe uscita alla luce, una piccola creatura innocente che elemosinava un po’ d’amore.
Si avvicinava l’ora della chiusura mentre io sostavo ancora lì,,, impietrita davanti a quell’immagine, intanto la musica era cambiata… la sua melodia era audace… vincente… “La marcia trionfale dell’Aida”.
Aveva scosso anche il mio spirito… mi sentivo più viva… forte… pronta a combattere la mia battaglia con la vita.
Mi domandavo se la creatura che portavo potesse avere quegli occhi grandi e neri o se avesse ereditato quelli azzurri del padre o i miei castani-verdi. Percepivo una sensazione nuova il sudore freddo si era allontanato per lasciare spazio ad un calore tiepido che partiva dal ventre per poi diffondersi ovunque. Forse quell’esserino piccolo voleva dimostrarmi con la sua presenza che poteva riscaldare il mio corpo e soprattutto il mio spirito?
L’ultimo sguardo al dipinto… con sorpresa non vedevo più quella smorfia amara che traspariva da quelle labbra perfette… non più guance pallide, ma colorite … la luce era tornata in quegli occhi grandi, mentre la bocca voleva esprimere un’espressione di gioia.
Per la prima volta ho posato le mani sulla mia pancia, come se volessi accarezzare quella creatura… improvvisamente l’ho sentita parte di me della mia anima.
Sotto a quel ritratto ho scorto qualche riga; “Ritratto di Carlotta principessa austriaca… morta in giovane età”. Avevo deciso!!!! L’avrei chiamata Carlotta!