«Più si invecchia più è frequente soffrire di qualche patologia: questo non deve spaventarci, è del tutto naturale e non deve essere un limite per il nostro vivere bene. Purché ci si affidi al proprio medico e si seguano le giuste terapie»
La malattia della persona non più giovane è una realtà frequente, che non può (e non deve) essere negata. Talvolta, in nome dello slogan che “invecchiare non è una malattia”, si tende a trascurare un fatto che non si può invece nascondere: negli anni le malattie, i piccoli, grandi disturbi tendono ad essere più frequenti. Quello che però conta di più non è il fatto puramente biologico che provoca dolore, sofferenza, una più o meno rilevante disabilità, ma il modo in cui questi eventi vengono affrontati dalla persona e dalla comunità che gli vive attorno. È particolarmente importante come si realizza una “vita possibile” anche nel corso di una patologia.
Riporto di seguito alcune indicazioni pratiche, utili perché la malattia non diventi un fardello che domina la vita e la rende faticosa, sempre difficile da gestire.
Una prima indicazione, per quanto ovvia, riguarda l’esigenza di affrontare gli anni con la logica del “qui e ora”; io, in ogni momento, sono attivo e non mi lascio dominare dalle circostanze. Le affronto guardandole in faccia, senza autofinzioni, ma anche senza inutili pessimismi. Qui e ora agisco per stare meglio, per ridurre il dolore, confidando negli strumenti della medicina.
Una seconda regola invita ad avere fiducia nella concreta organizzazione della medicina. Con alcune attenzioni: se il medico di fiducia non ci convince, non cerchiamo di sostituire il nostro personale giudizio al suo, ma andiamo alla ricerca di un secondo parere. A questo medico possiamo comunicare le nostre incertezze (e talvolta le nostre angosce), per poi decidere assieme il da farsi. È importante raggiungere un parere convincente, al quale affidarsi in modo che alla malattia e alle sue crisi non si assommi l’incertezza sull’efficacia delle cure. In questa prospettiva è ovvio che il rapporto con un medico diviene centrale; dobbiamo però saper distinguere tra il messaggio clinico che questi è in grado di trasmetterci dalla modalità con la quale viene trasmesso. Anche un medico un po’ “burbero” può darci indicazioni sagge e utili. Le parole, l’atteggiamento aperto e sereno sono il modo migliore per entrare in relazione; però, prima di tutto, vale la serietà clinica di quanto viene prescritto.
Un’altra regola importante è seguire le indicazioni con una certa precisione; senza gli scrupoli causati dal timore di essere eventualmente un po’ in ritardo nell’assunzione di una dose di farmaco, ma, all’opposto, senza la superficialità di seguire con “elasticità” le indicazioni riguardo, ad esempio, l’esecuzione regolare di controlli, l’alimentazione, l’attività fisica, lo stress, il sonno. La vita a tutte le età è davvero possibile se siamo in grado di assumere atteggiamenti che preservano la nostra libertà psicologica, contando, allo stesso tempo, su indicazioni solide e utili. Raggiungere questo equilibrio non è sempre facile né è facile conservarlo nel tempo; è necessario però essere convinti che la libertà va difesa al massimo nell’ambito delle condizioni oggettive. Con questo non voglio dire che l’affidarsi ad un medico di fiducia sia limitante, anzi, ma che ogni decisione deve essere condivisa e interiorizzata senza timori.
Vi sono alcuni momenti della storia di una malattia nei quali si deve, almeno in parte, rinunciare alla propria libertà, ad esempio nel corso di un ricovero ospedaliero. Però, anche in queste condizioni precarie, si pensi che la momentanea, apparente sospensione della libertà non impedisce un itinerario di vita possibile, la cui normalità si ritrova alla dimissione. Così è avvenuto anche per molte persone anziane che hanno subìto il Covid-19 che le ha costrette a casa, spesso con molte paure e incertezze sul futuro. Però, per tutti la vita è ripresa e ha rincominciato di nuovo ad essere “possibile”; anzi, per molti lo scampato pericolo è oggi vissuto come un evento da ricordare senza angoscia, ricco di indicazioni, nella coscienza che la vita normale riprende con tutti i suoi momenti positivi e negativi.
Qualcuno potrebbe ritenere consolatorie queste mie indicazioni; vorrei invece convincere che sono assolutamente realistiche. Ho visto moltissime persone anziane che hanno superato il tempo delle difficoltà più pesanti e hanno recuperato la “vita possibile”, anche se ancora accompagnata da qualche aspetto faticoso e doloroso. La famosa affermazione “invecchiare non è una malattia” non indica l’assenza di questo o quel disagio, ma le modalità con il quale viene affrontato il passare degli anni. Non deve, infatti, essere dominato e reso dipendente dalle malattie e dalle situazioni di ridotta autonomia. Il futuro è “possibile”, aperto agli eventi della vita, alle novità da accogliere, alle relazioni da costruire, all’amore da donare e da ricevere. È una scelta coraggiosa, ma da perseguire con determinazione: chi rinuncia alle potenzialità della propria esistenza si comporta come chi sotterra i talenti invece di investirli. La parabola evangelica ha un forte significato umano a tutte le età: più ovvio quando riguarda le età giovanili; meno ovvio, ma altrettanto – se non più – importante, nelle età non più giovani.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulle demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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