Nel nostro Paese cambia il concetto e la composizione dei nuclei familiari. E nonostante i numeri dicano siano in crescita – dato che varia di regione in regione – preoccupa il fatto che siano sempre più piccoli
Se chiedi a chiunque, in Italia, quale sia l’architrave sociale del nostro Paese, la risposta indubitabilmente sarà: la famiglia. Quel nocciolo duro che, in momenti di tensione, raggiunge i cento milioni di gradi Celsius, ma che è più spesso porto e riparo da ogni tempesta. Un nucleo sociale che, almeno nella sua composizione, ha subìto grandi trasformazioni negli ultimi trent’anni ma conserva in sé qualcosa di indissolubile: arcaico, quasi tribale.
Secondo le rilevazioni più recenti – e comunque anche sotto gli occhi di tutti -, la famiglia italiana oggi è sicuramente più composita, spesso allargata: senza dubbio, però, più precaria; o meglio, esposta agli scossoni dovuti a una vita economica meno solida. Ciò che colpisce, però, è che in un Paese sempre più vecchio – ci sono 14 milioni di ultrasessantacinquenni – le famiglie con un unico componente non facciano che aumentare, arrivando, oggi, al 33,2%. Ma andiamo con ordine.
Al 1° gennaio 2022, in Italia, si contano quasi 59 milioni di persone, si fanno figli sempre più tardi e ci si sposa sempre meno, mentre crescono le separazioni. Nel nostro Paese, il 48,7% è uomo, il 51,3% è donna. Appena l’8,8% è di cittadinanza straniera.
E se le famiglie sono 25,6 milioni – in crescita, questo sì – non si può, appunto, non notare come esse siano sempre più piccole. Lo dicevamo, secondo l’Istat, il 33,2% di esse ha un solo componente; il 27,7% ne ha due e il 18,9%, tre. Per risalire la curva discendente si deve però ricorrere a numeri percentuali più bassi: il 15,2% delle famiglie ha quattro componenti; il 3,9%, cinque e appena l’1,2% ha sei o più membri.
Il che vale a dire che, per la prima volta in Italia, il totale delle famiglie single supera numericamente quello delle coppie con figli che si attestano, ormai, al 31,2%. Dati che, se visti in prospettiva nel tempo, rischiano – le stime parlano del 2045 – di portare a un ulteriore superamento, anch’esso storico, ossia che le coppie senza figli saranno più di quelle con bambini.
Ad ogni modo, il numero delle famiglie è cresciuto e lo ha fatto indistintamente in ogni regione del nostro Paese, ma con un ritmo di crescita che varia da zona a zona. L’incremento più elevato – pari al 6,8% -, è stato registrato nelle Regioni centrali, mentre quello più basso (+3,5%) nelle due Isole maggiori.
Quel che è certo è che la struttura della famiglia è estremamente mutata. Se un tempo quella agricola, patriarcale – dunque, tradizionale – era numerosa, accoglieva genitori, figli, nipoti sotto uno stesso tetto, oggi conta sulla presenza dei genitori e generalmente su un massimo di due figli. Inoltre, se un tempo vedeva le donne occuparsi della casa e dei figli, adesso si compone spesso di genitori che lavorano entrambi fuori casa.
Si tratta di una mutazione che è avvenuta in modo piuttosto graduale ed è figlia della conversione della nostra economia da rurale a industriale, con una forte propensione, almeno nelle Regioni centrali, al lavoro in ambito impiegatizio. Ecco così che anche i costumi di questi nuclei hanno assunto forme del tutto diverse: i genitori sempre più spesso delegano ad altri adulti – che siano nonni o collaboratori familiari (baby sitter) – parte del lavoro di cura dei propri figli. E se un tempo si riunivano, ad esempio, per tutti i pasti della giornata – col padre che magari rincasava per la pausa pranzo -, oggi ci si ritrova assieme attorno a un tavolo giusto la sera con una oggettiva difficoltà nel trovare tempo da trascorrere insieme.
Va da sé che i tempi della conciliazione casa-lavoro attendano ormai da anni forme strutturate e più congeniali allo sviluppo familiare e se la pandemia ha aggiunto all’arco la freccia dello smart working, in molti casi si è trasformato in un ulteriore sforamento dei tempi del lavoro in quello domestico e familiare. Per non parlare di quando il lavoro di cura prevede anche il compito di assistenza a un familiare anziano non più autonomo: lì si ha un surplus di impegno spesso non sufficientemente riconosciuto dal mondo lavorativo e ancor più spesso a carico delle donne.
Ciò che è rimasto immutato è lo stretto legame con le figure dei nonni che, tanto più se non in coppia – perché superstiti a un coniuge morto -, vivono talvolta in casa con figli e nipoti o comunque nelle loro vicinanze in modo da poter prestare supporto, specie se entrambi i genitori sono impiegati, magari a tempo pieno. Ma succede anche che, e non di rado, in caso di scarsa autonomia di un familiare anziano si ricorra alle cosiddette case di riposo, nell’impossibilita di occuparsene, visti, appunto, i problemi di conciliazione della vita tra casa e lavoro. Un cambiamento significativo se si pensa che, invece, un tempo la cura di un anziano fragile avveniva appunto in casa.
Ora c’è da domandarsi che genere di Paese vogliamo e se siamo pronti a una brusca inversione di tendenza. Quel che è certo è che se quello che vogliamo è un Paese per single senza figli, beh… allora siamo sulla buona strada.
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