Limitazione degli spostamenti, radicale cambiamento dello stile di vita quotidiano, gestione degli spazi domestici, organizzazione del tempo libero… Cosa stiamo imparando dalla condizione in cui siamo costretti a vivere in questo periodo in cui siamo tutti impegnati a contenere il contagio da Coronavirus? Come sta cambiando la nostra percezione della realtà? Lo abbiamo chiesto a Vito Mancuso, teologo e filosofo, uno dei massimi pensatori contemporanei con cui abbiamo cercato di rileggere i valori che si stanno mettendo in campo alla luce di quanto accade oggi.
Il Vescovo di Milano in diretta streaming dalle guglie del Duomo riceve migliaia di visualizzazioni. Su WhatsApp si organizzano gruppi di preghiera e rosari collettivi. In alcuni paesi i parroci hanno esposto la statua del Santo Protettore come segno di speranza. Professor Mancuso, si può dire che, una grande fetta dell’Italia, in questi giorni stia riscoprendo la fede?
Non lo so se si tratti di una grande fetta o meno, il discorso è che, in questi giorni, tutti abbiamo bisogno di attingere alle nostre sorgenti di forza morale, per generare coraggio. I credenti, le persone che si richiamano alla visione cristiana del mondo, o anche ad altre spiritualità, trovano la loro sorgente interiore nella fede. Per questo non mi stupisco che ci siano persone che sentano l’esigenza di ascoltare parole di conforto spirituale, come quelle del vescovo di Milano. Allo stesso modo, non mi stupisce l’uso improprio di questo bisogno di spiritualità.
Che tipo di uso improprio?
Quell’uso di chi pensa che questi siano castighi mandati dall’alto, minacciando, invitando in maniera fosca alla conversione. Del resto, per la spiritualità vale la stessa cosa che vale per l’umanità. Quando ci troviamo dinanzi ad una situazione limite, come ad esempio il terremoto, emergono i lati migliori e i lati peggiori dell’essere umano. Arrivano gli sciacalli a depredare le case e al contempo arrivano i volontari che rischiano la vita per salvare le persone. E l’umanità qual è? Sia l’una che l’altra. Le situazioni limite mostrano l’ambiguità che connota il fenomeno umano, capace delle cose più eccezionali e delle più miserabili.
Lo stesso discorso vale per la spiritualità…
Sì, in questo momento ci sono persone che aiutano le altre che hanno bisogno di conforto spirituale. Le aiutano ad attingere la forza interiore dentro di sé, e lo fanno in maniera seria e responsabile. Ci sono poi persone che utilizzano questo momento di debolezza e questo bisogno spirituale per fare sciacallaggio alla loro maniera, infierire sulle paure, alimentarle. Persone che diffondono idee teologiche non dico superate, ma estremamente nocive, in quanto alimentano la paura invece di toglierla. Ed allora fanno capo al fanatismo, alla superstizione, al bisogno di un capro espiratorio.
È un periodo in cui l’uso dei Social Network è cruciale. Può essere anche dannoso?
Io non sono né un nemico dei social network, né un fanatico sostenitore. Ne riconosco la funzione, sono consapevole dei suoi limiti. Se riversarsi nella realtà virtuale, vuol dire ignorare completamente i familiari o le persone con cui si è in casa, allora sì, sono negativi. Perché diventano un gorgo che trascina la nostra mente, e quindi una persona può essere fisicamente in un posto, ma con la mente è costantemente proiettata alla discussione sui social. Non vive realmente dove è. Però sono consapevole che i social possono essere momenti di grandi contatti, di relazioni vere, di ricarica. Danno vita a delle comunità, assorbono la funzione di quello che, fino a ieri, era il bar, il circolo. La realtà umana non è unilaterale, è ambigua, ci possono essere utilizzi dei social assolutamente virtuosi e altri davvero dannosi.
Parliamo di educazione. Come si fa ad educare i bambini quando si è in uno stato di apprensione continuo come quello in cui stiamo vivendo?
È l’esempio quello che conta. Mettendo davanti la calma, la dedizione, tirando fuori fantasia creativa, giocando e stimolando i ragazzi. I miei figli sono grandi ed autonomi, ma ricordo che, quando erano piccoli, io leggevo loro ad alta voce i racconti di Tolstoj. Invito i genitori e nonni a fare questo, a leggere a voce alta. Perché la voce del padre, della madre, dei nonni incide profondamente nella psiche infantile. In questo modo si posizionano delle pietre preziose nell’anima dei bambini, preziose perché continueranno a generare calore.
Fede e giovani: un binomio che collima, oppure può esserci un avvicinamento?
Detesto le generalizzazioni. Spesso vado nei licei, parlo con i ragazzi, vedo giovani che partecipano alle mie conferenze, che mi chiedono un autografo su un libro che hanno letto. Nel contempo so anche di giovani che sono in balia della pubblicità, delle firme, della moda, sono vuoti, non leggono nulla. C’è di tutto. Mi rifiuto però di iscrivermi al partito di quelli che sostengono che i ragazzi di oggi siano peggiori rispetto ad altre generazioni. La mia esperienza dice che non è per niente così. Anzi, un tempo c’era più fanatismo, e la sicurezza ideologica portava a discriminare, generando aggressività e violenza, come quando ero giovane io, negli anni di piombo. Adesso vedo più curiosità, meno dogmatismi, più apertura nel discutere. In relazione alla fede, vedo che c’è più desiderio di spiritualità e meno di aggregazione ecclesiastica, meno di inquadramento. Ma un bisogno di fede, nelle giovani generazioni, dal mio punto di vista, esiste, ed è intenso.
Professor Mancuso, cosa ci insegna questa pandemia?
Se la sappiamo ascoltare ci insegna a leggere la nostra fragilità, il nostro bisogno di relazioni. Perché quando ci vengono sottratte tante cose esteriori di cui le nostre giornate erano intessute, allora c’è bisogno di trovare dentro di sé le motivazioni per dare colore e spessore alle proprie giornate. Riscoprire il raccoglimento, la lettura. A combattere la superficialità e a coltivare la profondità. A riscoprire le cose che contano, le cose vere, profonde, importanti: le cose autentiche.
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