Quindici anni fa ho scoperto di essere celiaca e da allora lotto contro la disinformazione. La recente approvazione della legge per lo screening sistemico di celiachia e diabete nella popolazione pediatrica è una buona notizia
«Mi dispiace, non posso garantire che non ci sia stata contaminazione». È la frase che mi sento dire spesso quando chiedo piatti senza glutine. Già, perché mangiare senza glutine può sembrare una moda, un capriccio, ma per noi celiaci, invece, la vita fuori casa diventa un’odissea. Non si tratta solo di scegliere cibi senza glutine, si tratta di essere certi che quello che mangiamo non sia stato contaminato da farine e derivati.
È abitudine di ogni celiaco portarsi dietro qualcosa di confezionato: frutta, un pacchetto di crackers o di pane da accompagnare con altro. Eppure, adesso rispetto a qualche anno fa, il gluten free (senza glutine) è molto più conosciuto e tante attività hanno una buona offerta. Un grande lavoro ha fatto – e continua a fare – AIC (Associazione Italiana Celiachia) che diffonde consapevolezza e regole per la sicurezza dei celiaci. Se un ristorante, un negozio, un rivenditore espongono il simbolo della spiga barrata o il logo dell’AIC, si è certi di trovare alimenti senza glutine.
Mangiare fuori casa, spesso, è un’odissea. Dobbiamo rispondere a domande tipo “Che grado di celiachia ha?”, “Lei è celiaca poco o molto?”, per citare alcuni esempi. E per quanto questo scritto non sia un trattato medico, lo dico subito, non esistono gradi di celiachia, si può essere sintomatici o asintomatici ma questa è un’altra storia e ascoltare queste domande fa capire quanta disinformazione ci sia. Fare colazione al bar è complicato perché è più semplice trovare cornetti vegani che senza glutine, ma essere vegani è una scelta, celiaci no. Affrontiamo una battaglia quotidiana e diffondere consapevolezza è il nostro compito.
Ma che cos’è il glutine che tanto ci complica le giornate? È una proteina contenuta in alcuni cereali (frumento, orzo, farro e segale i più comuni), ma anche in altri alimenti confezionati e non subito riconducibili ai cereali. Il primo passo, dunque, è eliminare il glutine, poi ci aspetta il passo successivo: stare attentissimi alle contaminazioni, quando cioè anche il cibo che possiamo mangiare viene manipolato non correttamente, conservato o cotto dove sono stati conservati o cotti cibi che invece contengono glutine. È forse questa la parte più complicata da gestire perché spesso le persone con celiachia vengono viste come schiave di un’apprensione esagerata: non è così, se non ci sono sintomi palesi non vuole dire che non stiamo male. Siamo tutti un po’ Sherlock Holmes davanti al cibo: alla ricerca degli ingredienti come un investigatore.
Così ho scoperto la celiachia
Non è stato facile accettare la mia nuova condizione: l’ho vissuta come un limite alla quotidianità, una mancanza di libertà di scelta di luoghi. Insomma, mi è mancata la “normalità”.
Ho scoperto quindici anni fa la celiachia. Non è stato facile, avevo vari malesseri, prima solo sulla pelle, poi è arrivato una sorta di prurito interno misto a bruciore sottocutaneo. Sono comparse bolle, croste e poi i sintomi classici (crampi, gonfiore, nausea). Dopo tante visite e due biopsie, siamo arrivati al bandolo della matassa: la ‘Dermatite Erpetiforme di Duhring’. Sì, un nome complesso per una malattia penserete, ma confesso che ascoltarlo mi ha fatto sorridere perché mi ha ricordato la dinastia del popolo di nani di Durin del celebre film fantasy Il Signore degli Anelli. Tuttavia, non c’è stato un collegamento immediato con la celiachia e ancora dopo cure sbagliate, è stato stabilito che fosse la forma più rara della celiachia, quella della pelle.
Ho dovuto studiare per imparare a riconoscere il mio nemico, perché l’unica cura per la celiachia è l’eliminazione del glutine dalla dieta. Era arrivato il momento dei saluti tra me e lui, ma soprattutto l’addio a tutti i cibi che da sempre avevo dato per scontato, perché noi italiani, si sa, siamo cresciuti a pane, pasta e pizza. Non avevo mai ragionato, prima di allora, sul legame che avevo col cibo e sui ricordi che a esso mi legavano. Pensiamoci, molti dei nostri ricordi sono legati ad una cena tra amici, ai pranzi in famiglia, al cibo scoperto durante i viaggi in terre lontane e straniere.
Quando diventa un disagio sociale
Se i disagi fisici causati dalla celiachia possono essere risolti con l’attenzione alimentare, più difficile è superare le barriere sociali, uscire con gli amici, vivere momenti di spensieratezza.
Mangiare è socialità, condivisione e spesso ricevere un invito per un pranzo, un compleanno o qualsiasi altra occasione potrebbe far nascere ansia e senso di inadeguatezza soprattutto nel momento della rinuncia delle pietanze ‘proibite’ oppure dal timore di ingerire del glutine inavvertitamente.
Più volte mi è capitato di pensare, soprattutto all’inizio, “Sono una guastafeste” perché capita che ti chiedano di scegliere un luogo dove poter mangiare senza glutine, cosa che può mettere a disagio sia chi ci ha invitato che noi. Dopo lo sconforto iniziale, ho deciso però che la celiachia non mi avrebbe fermata e avrei continuato a viaggiare come prima, solo più organizzata e consapevole.
Prima di partire preparo un programma degli spostamenti, segno nomi e indirizzi di locali così da avere più opzioni durante il tragitto. Questo mi permette di muovermi liberamente e grazie all’app di Google Maps ho creato varie cartelle, ognuna con i locali di ogni città. Esistono diversi gruppi dedicati al gluten free sui social network, ci scambiano consigli e recensioni sui locali: sapersi organizzare e giocare d’anticipo è fondamentale per godersi il viaggio quando si è celiaci.
La mia battaglia contro la disinformazione
La celiachia e la vita sociale alle volte faticano ad andare a braccetto e ci si può trovare isolati e incompresi. Capiterà di incontrare persone disinteressate, amici che faticano a capire, ristoratori inconsapevoli ma ci sono e ci saranno anche amici che sostengono e persone sensibili. La mia condizione è faticosa, con calma e pazienza cercherò di diffondere informazione e consapevolezza su questa malattia e piano piano anche la sensibilità aumenterà.
Recentemente è stata approvata – per la prima volta nel mondo – la legge sullo screening sistemico di celiachia e diabete I della popolazione pediatrica (1-17 anni). Prevede numerose campagne periodiche d’informazione e sensibilizzazione a cura del Ministero della Salute. È una buona notizia, con la speranza che, finalmente, ci sia informazione.
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