Se ne parla poco, ma i dati sono in crescita: tra le donne vittime di abusi, molte sono over 60. E i centri antiviolenza accolgono le loro richieste di aiuto
In Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni, e nella maggior parte dei casi per mano del partner, dell’ex partner, di un familiare o di un conoscente. Settimanalmente il Viminale pubblica un report aggiornato del Servizio Analisi Criminale che riporta tutti i casi di omicidio e di femminicidio, dal quale risulta che dal primo gennaio 2021 hanno perso la vita 91 donne, 78 delle quali uccise in ambito familiare (dati aggiornati al 3 ottobre 2021).
Un dramma quasi quotidiano che racconta l’apice di un fenomeno, quello della violenza contro le donne, ben più ampio e non sempre evidente; perché i comportamenti violenti non sono necessariamente visibili, fatti di percosse o peggio, ma spesso molto più subdoli e difficili da riconoscere. La violenza può essere psicologica, fatta di umiliazioni, denigrazione, isolamento e controllo maniacale; ma anche economica, quando la donna viene privata della libertà di gestire il denaro in famiglia o magari sul lavoro percepisce uno stipendio inferiore ai colleghi uomini che esercitano la stessa mansione, o è costretta a firmare dimissioni in bianco a tutela del datore di lavoro in caso di gravidanza.
La violenza dunque ha molte sfaccettature, ma quella domestica in particolare ha una caratteristica che accomuna tutti i casi: è trasversale al contesto culturale, alla posizione socioeconomica e all’età. Le vittime non sono necessariamente giovani, anzi sempre più spesso donne adulte, over 60 o 70, si ritrovano a chiedere aiuto per mettere fine a una vita di maltrattamenti.
Eppure, la violenza di genere nelle fasce più anziane della popolazione sconta ancora una rappresentazione parziale del fenomeno, come testimoniano i dati Istat che considerano le donne dai 18 ai 70 anni, e di fatto escludono i casi di abusi nelle ultrasettantenni, che invece rientreranno nel generico “abuso su anziani”, come se in età più avanzata il genere perdesse importanza.
«Rispetto al 2010, quando abbiamo aperto il primo Centro antiviolenza a Conversano (Ba), le donne anziane che si rivolgono ai Cav sono aumentate – racconta Marika Massara, coordinatrice della Rete dei Centri Antiviolenza della Comunità San Francesco, che opera in Puglia -, e oltre a subire violenza dai propri partner sono spesso anche vittime dei figli maschi, ormai adulti, che hanno appreso un modello paterno maltrattante e mettono in atto diverse forme di abuso nei confronti delle madri. Abbiamo casi di violenza psicologica, fisica, ed economica quando i figli si appropriano della pensione. Ci sono state mamme anziane che pur di liberarsi da una situazione insostenibile hanno lasciato anche la propria casa, altre hanno denunciato i figli».
Quali sono le specificità delle situazioni di violenza contro le donne over 60?
In generale, nel 90% dei casi il maltrattante è sempre all’interno del nucleo familiare, come per qualunque altra fascia di età. Nello specifico, però, oltre alla problematica della violenza si sommano altre dinamiche, come quella abitativa e lavorativa, perché è molto più difficile reinserire una donna di settant’anni. Inoltre, parliamo spesso di casi in cui gli abusi si sono protratti per anni e anni, e spesso c’è vergogna a parlarne, oltre che rassegnazione per una prospettiva di cambiamento più difficile da immaginare rispetto ad una donna giovane. Non bisogna poi dimenticare i problemi legati alla sfera della salute, che possono ulteriormente complicare la situazione, sia quando riguardano la vittima sia il maltrattante, perché spesso la donna non riesce a pensare di lasciare il marito o il compagno senza le sue cure, nonostante gli abusi.
Come possono intervenire i Centri Antiviolenza in queste situazioni?
I Cav si rivolgono a tutte le donne, di ogni età. È importante che si sappia perché ancora oggi ci sono operatori sanitari che, lavorando nelle strutture socioassistenziali o a domicilio, vengono a conoscenza di problemi familiari legati a casi di violenza e magari non sanno come intervenire. Come Regione Puglia stiamo pensando a una campagna di comunicazione specifica per le donne over 60 e nel frattempo, anche se la questione è complessa e deve essere affrontata a tutto tondo, noi ci siamo e cerchiamo le soluzioni. Mi viene in mente una donna di 80 anni con patologie che abbiamo dovuto allontanare in emergenza e collocare in una casa rifugio, dove poi abbiamo mandato un operatore sociosanitario che la seguisse, pagandolo con appositi fondi regionali.
È un fenomeno in aumento quello della violenza contro le donne anziane?
Se ne parla ancora poco ma il fenomeno è in aumento e, soprattutto dall’inizio della pandemia, alcune situazioni si sono esasperate a causa della convivenza a stretto contatto fra le mura domestiche e la crisi economica, anche nella popolazione anziana. L’effetto lockdown è stato drammatico perché ha esacerbato situazioni già al limite, dove il maltrattante era sempre in casa, e chiedere aiuto diventava ancora più complicato. Non a caso abbiamo attivato altri canali oltre al numero di telefono, come le chat e le email, chiedendo anche la collaborazione delle forze dell’ordine nei casi di rischio concreto e imminente. C’è anche da dire che probabilmente i casi di abuso sulle donne anziane esistevano anche prima, quando nessuna di loro raggiungeva un centro antiviolenza, e quindi vuol dire che oggi si è acquisita una maggiore consapevolezza rispetto alla possibilità di chiedere aiuto, e questo è positivo.
È possibile anche in età adulta riuscire a trovare il modo di interrompere una relazione tossica?
Si, è successo più volte, attraverso un allontanamento con ricollocamento in struttura protetta, e una denuncia: tante donne sono riuscite a interrompere la relazione tossica, alcune le stiamo seguendo anche adesso. Ci sono stati anche casi in cui si è scelto inizialmente di lasciare il marito, come una signora che ha deciso di andare a vivere all’estero dalla figlia, ma poi è tornata a casa per non esserle di peso. In ogni caso rispettiamo la scelta della donna, qualunque essa sia, e continuiamo a offrire comunque un supporto psicologico costante. A volte già questo è una boccata d’ossigeno.
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