Abbandonare un’esistenza comoda (e frenetica) per andare a vivere su un albero, in mezzo alla natura. È la storia di Gabriele, che nel suo libro “La mia casa sul ciliegio” racconta come un incidente quasi mortale è stata l’occasione per ridefinire la sua vita.
«Sono Gabriele, facevo una vita, tra virgolette, qualunque. Avevo tante ambizioni, sogni, desideri. Tanti amici. Una vita negli standard. Stavo bene, ero felice, però avevo sempre un retrogusto di difficoltà. Mi sentivo incastrato in una corsa frenetica».
Chi ci parla è un uomo di quarant’anni: Gabriele Ghio. Un lavoro, oggi – quello di maestro di guida sicura -, e una vita decisamente diversa rispetto a quella di pochi anni fa. Lo raggiungiamo – in collegamento video – in un luogo di cui preferisce non darci le coordinate, ma che sappiamo essere in Piemonte. Ci ospita a casa sua, su un albero, la stessa casa che è al centro del libro La mia casa sul ciliegio (da poco pubblicato con TSEdizioni), ma che è anche il perno intorno al quale ruota la sua nuova vita.
«C’è stato un episodio che mi ha sconvolto, mi ha segnato». Di lì, il cambio di passo. Tutto avviene in quella che lui definiva la sua “zona di comfort”: un luogo reale, ben localizzato – in questo caso, sì -, un garage che è la premessa del cambiamento. Gabriele, infatti, prima di abbracciare una vita per così dire “arboricola”, nei ritagli di tempo si rintanava in un garage dove costruiva il suo fuoristrada per i viaggi futuri: è appassionato di motori. Ma nel momento in cui non immaginava potesse capitare nulla, un terribile incidente lo travolge, mentre sta appunto manutenendo il mezzo. In quella circostanza, rischia di perdere la vita ma, in maniera ingegnosa, riesce a sottrarsi alla morte e arriva in ospedale sulle sue gambe quando, invece, avrebbe potuto finire schiacciato dallo stesso veicolo sul quale riponeva una cura quasi maniacale.
È allora che deve scegliere: rinunciare a quella passione che lo ha portato quasi in punto di morte o cambiare. Lui raccoglie la sfida e sposta l’asticella decisamente più in là. Abbandona la città, la frenesia, non il lavoro che – come detto – era e resta di istruttore di guida sicura, ma sceglie – e questo ha forse dell’incredibile – di lasciare la casa in cui vive (il contratto di affitto era in scadenza) e di trasferirsi, appunto, in una casa su un albero. Non un’idea sua, a dir la verità: è di un amico che, sapendolo senza casa, gli dice: «Perché non vai alla casa sull’albero?».
Noi, infatti, lo raggiungiamo lì, in questa abitazione di appena sei metri quadri. Mentre Gabriele si collega in video, lo vediamo seduto di fronte a un tavolo di legno, circondato da una fitta vegetazione che tradisce già, per quanto rigogliosa, una dirompente primavera.
«L’incidente è stato la fiamma che ha innescato un incendio dentro di me e mi ha dato la possibilità di pensare e di vivere in maniera differente». In ospedale, sfigurato in volto, si confronta con chi gli è attorno. Nota le differenze, si accorge che chi è lì è perché è malato: lui sa di essersi procurato quel dolore, che la frenesia e la distrazione hanno causato quel brutto incidente. Perciò, cambiare vita è un po’ come un tributo alla vita stessa, al restituire al tempo e all’esistenza un valore più profondo, più intimo. Ovvio che non sia stato facile voltare pagina. «Quando andavo a lavorare e poi tornavo a casa, mi dicevo: “Gabriele, stai andando nel bosco. Sei sicuro?”. Accettare quest’idea, a livello mentale, è stata una cosa molto più forte che costruirsi un letto, un riscaldamento, una possibilità di vita all’interno di una casa così piccola. Questo è stato forse il concetto più grande da capire, da accettare».
Ma Gabriele ci riesce. Affronta anche il giudizio: suo e degli altri. E va avanti, ostinatamente. Anche di fronte alle preoccupazioni del padre che, ogni volta che lo incontra, gli chiede se abbia trovato casa: una casa vera, conforme, in un contesto urbano. Lo stesso padre che lui avrebbe voluto leggesse questo libro, scritto durante la pandemia e che Gabriele non riesce a mostragli perché il padre muore proprio a causa del Covid, prima che le pagine vadano in stampa. Ecco perché oggi sogna che, un giorno, una sua eventuale figlia – desidera una figlia femmina – legga la storia di questa scelta radicale, comprendendone le ragioni e le conseguenze profonde.
Resta comunque un cammino in salita, quello che questo quarantenne inizia vivendo in una casa su un albero. Il freddo d’inverno, la neve, le raffiche di vento, la doccia con una riserva d’acqua allestita a cascata dall’alto: acqua comunque non riscaldata, sempre fredda. «Lo stratagemma che uso è quello di fare la doccia negli orari centrali della giornata, quando fa meno freddo». Solo per il riscaldamento e per la cucina cede necessariamente al tepore acquistando un fornelletto a biomassa col quale scalda ambiente e cibi. Anche qui, niente accumulo come per gli indumenti: giusto gli alimenti e i capi necessari.
Una vita, dunque, ridotta all’osso – o meglio all’essenziale – che lo porta ad assaporare aspetti che mai avrebbe pensato prima: la natura, gli scoiattoli che si affacciano davanti ai vetri della casa, gli animali del bosco, i timori rispetto a quelli selvatici – i cinghiali, ad esempio – che si rivelano vicini benvenuti. Una prova per se stesso ma che, proprio per quanto narrato nel libro, Gabriele spera possa aiutare un eventuale lettore “ad affrontare, magari, un passo forte che ha paura di compiere”. Il futuro, ci dice, «sarà legato a questo percorso iniziato. L’idea è di lanciare un amo, di cercare magari di trasformare una parte di me che vorrebbe addirittura stare ancora più vicino alla natura».
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