Nella conferenza per la pace del Cairo, lo scorso 21 ottobre, la colomba dipinta al centro del tavolo negoziale non ha portato fortuna. Nessuna dichiarazione condivisa alla fine del vertice, ma tanti punti di partenza.
Nulla di fatto al Cairo. La conferenza per la pace che lo scorso 21 ottobre ha coinvolto più di trenta soggetti internazionali, tra Stati e organizzazioni intergovernative, si è concluso senza una dichiarazione finale condivisa. La grande spaccatura si è prodotta tra Paesi arabi, da una parte, e Paesi occidentali dall’altra. Per i primi qualsiasi espressione di condanna verso le iniziative di Hamas implicava la stessa condanna verso le azioni militari di Israele, per il “blocco occidentale” non era possibile equiparare l’offesa dei terroristi alla reazione di Israele.
Il ruolo dell’Egitto e il corridoio umanitario di Rafah
Nonostante il mancato accordo, il summit per la pace al Cairo ha ottenuto qualche timido risultato e fissato alcuni punti fermi. La sola notizia della convocazione del vertice ha favorito l’apertura di un corridoio umanitario a Rafah. Da qui per alcune ore sono affluiti aiuti (viveri e medicine) per la popolazione stremata della Striscia di Gaza.
In più l’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha definitivamente consacrato il suo ruolo di mediatore nella crisi, respingendo i tentativi di “intromissione” dei Paesi del Golfo Persico e assumendosi la responsabilità di definire una nuova “road map” diplomatica che porti israeliani e palestinesi ad accettare la soluzione dei “due popoli e due Stati” nel territorio della Palestina storica.
Chi c’è oltre ad al-Sisi al vertice per la pace al Cairo
Intorno ad al-Sisi si sono mossi con più o meno chiarezza una serie di attori molto importanti nel consesso internazionale, dagli Stati dell’area mediterranea e mediorientale fino alla Russia e alla Cina, rappresentate rispettivamente dal vice ministro degli esteri e dall’inviato per il Medio Oriente.
Se è mancata la partecipazione di Israele e gli Stati Uniti hanno presenziato solo attraverso l’incaricata d’affari in Egitto, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen non ha mancato di fare sentire la sua voce denunciando la “barbara aggressione” israeliana e ribadendo forte e chiaro: “Non lasceremo mai la nostra terra”. Al suo fianco si sono schierati la Giordania, che ha parlato di “crimini di guerra” da parte di Israele, Libia e Brasile, che hanno denunciato “l’occupazione” della Striscia di Gaza, la Turchia, che ha accusato il governo di Netanyahu di “colpire ospedali”, e il primo ministro iracheno Mohammed Shià Al Sudani, convinto che Israele miri al genocidio del popolo palestinese.
Paesi Occidentali: i fatti di Gaza non si trasformino in un conflitto più ampio
Sul fronte opposto i Paesi occidentali (al Cairo erano presenti i primi ministri di Italia, Spagna, Grecia e Canada, il presidente di Cipro, i ministri degli esteri di Germania, Francia e Regno Unito) hanno sottolineato la necessità di distinguere la strategia di Hamas dalla causa palestinese, annunciando peraltro aiuti economici alla Striscia di Gaza.
La presidente del consiglio Giorgia Meloni ha stigmatizzato l’azione brutale di Hamas volta a provocare Israele e a innescare una reazione contro Gaza “che creasse un solco incolmabile tra Paesi Arabi, Israele e Occidente compromettendo definitivamente pace e benessere di tutti i cittadini dell’area”. La sfida è innanzitutto evitare che gli attacchi terroristici e i fatti di Gaza si trasformino in un conflitto più ampio, “in una guerra di religione, di civiltà, che renda vani gli sforzi di questi anni per normalizzare i rapporti”.
ONU ed Europa: cessate il fuoco e tentativi di equilibrio
Per abbassare il livello della contrapposizione, il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha chiesto con forza un “cessate il fuoco umanitario” che risolva il paradosso di Rafah: “camion pieni da una parte e stomaci vuoti dall’altra”. Il presidente del Consiglio d’Europa Charles Michel – nel sostenere il diritto all’autodifesa da parte di Israele “nella cornice del diritto internazionale” e, d’altronde, la necessità per l’intera comunità internazionale di supportare le legittime aspirazioni dell’Autorità Palestinese – ha provato a fissare un punto d’incontro. Alla fine, però, ha prevalso la cautela politica, scandita dai soliti distinguo, dalle petizioni di principio, dalle discutibili ricostruzioni storiche e dai pregiudizi ideologici che accompagnano da sempre la questione israelo-palestinese e vanificano, quasi con studio, ogni tentativo di soluzione concreta.Abu
(Foto Apertura: Below the Sky/Shutterstock.com)
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