Le ultime truppe USA lasciano Kabul la sera del 30 agosto, con un giorno di anticipo. Il ritiro sancisce la fine della missione americana in Afghanistan iniziata dopo l’11 settembre del 2001. Due settimane prima a lasciare il Paese è Mohammad Ashraf Ghani Ahmadzai, presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan dal 2014, dopo l’ingresso dei talebani a Kabul che provoca la fuga di civili, politici e militari. Inizia l’era dei guerriglieri islamici e le immagini che arrivano al mondo intero sono quelle di violenza, paura e disperazione.
Vent’anni dopo l’11 settembre 2001. Gli attacchi al cuore dell’America
11 settembre 2001. La data che ha cambiato il mondo. Quel giorno quattro attacchi kamikaze lacerano il cuore degli Stati Uniti, causando la morte di 2977 persone (e 19 dirottatori), oltre 6mila feriti. Alle 08:46 (le 14:46 in Italia), il volo American Airlines 11 si schianta contro la facciata settentrionale della Torre nord del World Trade Center. Diciassette minuti più tardi, viene colpita la Torre sud dal volo United Airlines 175. Il terzo aereo, Boeing 757, si schianta alle 9.37 al Pentagono. I dirottatori del quarto velivolo falliscono la missione kamikaze e l’areo finisce in un campo vuoto a Shanksville, in Pennsylvania.
La parola di Maurizio Piccirilli, esperto di conflitti internazionali e geopolitica
Vent’anni più tardi, quali scenari si aprono per l’oriente e l’occidente? Ne abbiamo parlato con Maurizio Piccirilli, fotoreporter e giornalista, inviato di guerra e autore di libri, quali “Ferita afghana. Storie di soldati italiani in dieci anni di missione” “Cuccioli del Jihad. Come l’Isis trasforma i suoi bambini in fanatici guerrieri del Jihad”, “Il volto nascosto di Osama” e “Le quaglie di Osama”. Ecco alcune domande rivolte all’esperto di conflitti internazionali e di geopolitica.
Lunedì 30 agosto, con un giorno di anticipo, l’ultimo militare americano ha lasciato l’Afghanistan. La missione, durata vent’anni, è da considerarsi fallimentare o c’è qualcosa da salvare?
Sono stato contrario a questa missione, principalmente per come si è svolta strategicamente perché ha concentrato gli sforzi sull’aspetto militare, registrando una sconfitta dal punto di vista politico e quello culturale. La maggior parte dell’Afghanistan era soprattutto nei villaggi intorno a Kabul, con una popolazione legata alle tradizioni, alla cultura della pastorizia, non tanto al lavoro intellettuale. Questo aspetto deve essere considerato: non si possono imporre delle regole a popoli con usi e costumi completamente diversi. Gli americani hanno chiesto il supporto degli alleati nella missione in Afghanistan, ma quando hanno trattato per andare via dal Paese – nel febbraio dell’anno scorso con Trump al governo degli Stati Uniti – non hanno convocato la NATO al tavolo di Doha. Hanno lasciato l’Afghanistan in maniera unilaterale.
Quando dicono che non eserciteranno violenza e che vogliono dialogare con gli Usa, i talebani sono credibili?
I talebani fanno parte dell’establishment e hanno un’idea chiara: sono consapevoli che l’Afghanistan è cambiato negli ultimi 20 anni. E sono consapevoli soprattutto che molte donne sono in condizioni di organizzarsi in cooperative di lavoro. In questi anni, infatti, hanno messo su attività commerciali diffuse, anche grazie al supporto della missione italiana. Hanno avviato un’economia circolare di cui il Paese ha bisogno. Per questo i talebani hanno assicurato che le donne possono continuare a lavorare e studiare perché persone istruite possono tornare utili. C’è poi un altro mondo dei talebani, animato da motivi di rivalsa, legati a vecchie mentalità. La battaglia che dobbiamo fare per le donne in Afghanistan è come le battaglie che facciamo per le donne in tutti gli altri paesi.
Il ruolo dell’Italia nella missione? E quello futuro?
L’Italia ha rivestito un ruolo molto importante perché ha messo in campo le eccellenze del proprio Paese e si è prodigata a costruire, contemporaneamente, forze armate e rinascita culturale. Nella provincia gestita dalle forze italiane sono stati vaccinati migliaia di bambini contro il morbillo. Nell’ambito della missione italiana anche la battaglia fatta in collaborazione con alcuni ospedali della provincia di Herat dove è stata quasi del tutto abbattuta la mortalità di parto. É stato fornito supporto nella creazione di cooperative, ristrutturata la moschea blu, costruite scuole, università. Anche molte ONG hanno fatto tanto. Tra tutti ricordiamo l’impegno di padre Giovanni Scalese, unico prete cattolico presente nel Paese, che è stato uno degli ultimi a lasciare l’Afaghanistan con l’arrivo dei talebani e lo ha fatto solo quando ha potuto portare con sé i 14 bambini e ragazzi disabili di cui si prendeva cura insieme alle suore missionarie.
Quale scenario si è aperto e che similitudini ci sono con quello di vent’anni fa. Cosa succederà?
Ci saranno scheramglie, veti contrapposti, ma alla fine tutti tratteranno con i talebani, come già stanno facendo altri Stati. Non si possono ignorare, i talebani sono un governo al potere. Lo farà anche l’Italia. Grandi potenze, anche nel recente passato, hanno dato credito e dialogato con dittatori (Libia, Corea del Nord e altri) e nessuno si è scandalizzato. Nel caso dell’Italia, tutti si strappano le vesti.
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