I dati che l’Istat ha diffuso non molti giorni fa sulla natalità sono preoccupanti. In prospettiva persino drammatici. Per invertire la tendenza serve anche il contributo degli over.
In Italia non si fanno più figli e i dati Istat sulla natalità non lasciano presagire nulla di buono. Negli ultimi sei anni il numero dei residenti è diminuito di 1,08 milioni di abitanti. È peggio che ai tempi della Grande Guerra e della Spagnola, tra il 1916 e il 1918. Sono crollate le nascite, passate dal milione del 1960 alle 405mila di oggi. Le donne in età feconda invece sono solo il 39,5% del totale (le 15-49enni erano il 46,7% nel 2001), più di una su dieci in meno rispetto alla media mondiale. Senza aggiungere che fino al 2017 era l’immigrazione, ultimamente di molto calata, a compensare il dato naturale negativo.
2050, uno scenario tutt’altro che rincuorante
Secondo l’Istat di questo passo, a metà secolo, se la situazione della natalità continua in questi termini, avremo il doppio dei morti rispetto ai nati. Inoltre, nel 2070 registreremmo oltre 12 milioni di abitanti in meno (e sarebbero più di 18 milioni e mezzo se l’Istat non avesse anche ipotizzato un compenso migratorio dall’estero). Una realtà insostenibile, dunque, sia dal punto di vista dei rapporti umani che da quello del sistema economico.
Oggi l’età media ha superato i 45 anni e gli over 65 sono attorno a un quarto della popolazione: siamo ormai in pieno “inverno demografico”. E «anche se la qualità della vita nel nostro Paese è riconosciuta tra le migliori al mondo, il calo della natalità è inversamente proporzionale all’aumento del benessere», come dice Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol. Urge attivare dei rimedi, altrimenti gli effetti deleteri renderanno la vita dei nostri figli e nipoti meno qualitativa, meno ricca, meno “vivibile”.
L’esempio francese, una possibile soluzione alla denatalità
L’esempio della Francia, la nazione europea oggi più attenta al problema (ha avuto 300mila nati più dell’Italia nell’anno della pandemia), è senz’altro di riferimento. Lì si è agito, lo ricorda lo stesso presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, «attraverso la leva fiscale, gli assegni di sostegno, gli strumenti di sussidio e supporto alle donne che lavorano». E aggiunge «il nostro assegno universale è una buona iniziativa, che va nella direzione giusta, però non è sufficiente: bisogna immaginare delle soluzioni ulteriori, con il coinvolgimento dei privati e non più soltanto dello Stato».
Programmare i flussi migratori, creare fiducia fra i giovani, non trascurare gli over
Tra le possibili soluzioni appare ormai indispensabile una programmazione attiva dei flussi migratori. Sia di quelli in entrata, di cui si può beneficiare solo favorendo quelli di qualità e attivando il miglioramento personale di chi è meno formato. Sia di quelli in uscita, rendendo più attrattivo il nostro mercato del lavoro per i nostri stessi giovani.
Oltre a queste misure serve però anche creare un clima di fiducia e di ottimismo, innanzitutto nell’ambito del lavoro giovanile e nell’accesso facilitato alle abitazioni per le coppie che si sposano. Così come serve dare un maggiore valore gli over, troppo spesso rapidamente e irragionevolmente messi da parte per dare uno spazio inutile e perfino non richiesto alla nuova generazione.
Valorizzare gli over per frenare il deficit delle nascite
Valorizzare gli over e il loro portato di esperienze e di vissuto è la terza leva determinante per frenare il deficit di natalità presentato dall’Istat. Non solo per la capacità di aiutare – in quanto nonni e non solo – le nuove famiglie nei compiti che la crescita dei figli comporta, ma anche, se non soprattutto, perché gli interessi di giovani e anziani si toccano così frequentemente che considerarli insieme può senz’altro migliorare l’economia sociale e le reti di relazione, solidarietà e partecipazione.
Un esempio? La sostenibilità urbana: aree verdi, trasporti pubblici, accessibilità, agevolazioni nella fruizione di beni di uso quotidiano, luoghi di aggregazione, sono indispensabili per giovani e meno giovani. Un altro? L’acquisizione culturale post scolastica: accesso a strumenti istruttivi, scambio informativo, apprendimento permanente, miglioramento non formale, sono utilissimi a entrambe le generazioni. Crescere e migliorare insieme si può e non può che favorire quel “sentire positivo” che è l’humus più autentico del desiderio di procreare.
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