Walter Vallesi. Consulente di marketing aziendale e Enti pubblici e privati ad indirizzo turistico/culturale. Ideatore di progetti per la conoscenza del mare con l’integrazione dei diversamente abili. Skipper d’altura, scrittore di racconti brevi, romanzi e opere teatrali. Al Concorso 50&Più nel 2017 vince la Farfalla d’oro per la poesia e nel 2018 la Farfalla d’oro per la prosa. Vive a Porto San Giorgio (Fm).
La luce del sole che filtra attraverso la persiana anticipa il suono ansioso della sveglia. Tengo gli occhi chiusi, ma non dormo. Penso alla città assediata dalla pandemia. Non riesco ad abituarmi al suo anomalo silenzio. Cerco di distrarmi perché devo affrontare una giornata impegnativa, ma la città che va in letargo dopo il coprifuoco delle 22, mi sta facendo passare le notti in bianco. Così ogni mattina mi sveglio già stanco e meno lucido di quanto dovrei. Oggi poi sarà determinante e, comunque vada, la mia vita potrebbe cambiare per sempre. Perciò preferirei che tutto filasse liscio. Mi alzo dal letto e mi infilo sotto la doccia, poi, con calma, barba, capelli, collirio e dentifricio. Il fluoro dopo la caffeina fa schifo. Sono in largo anticipo quindi carico la moka e aspetto quei pochi minuti gustando il sapore dell’antico toscano senza accenderlo. Gli abiti da indossare sono già pronti e mi vestirò in un lampo. Lo specchio riflette l’immagine di uno che sa nascondere emozioni e insicurezze. Intanto bevo il mio caffè profumato pensando che lo specchio forse mente. Staremo a vedere. Sorrido ed esco di casa. L’ascensore sosta di fronte al mio portone al sesto piano e questo lascia presagire che la giornata cominci bene. Nessuna attesa con l’apri e chiudi lungo i sei pianerottoli. Per non parlare del rumore dovuto alla sua costruzione in ferro battuto del primo 900.
Sobbalzando come al solito lungo la discesa, chiuso tra le strette pareti di mogano e specchi, arrivo all’uscita dove il portinaio a quell’ora è assorto nel Corriere della Sera appoggiandosi alla colonna antistante il giardino interno. «Bun dì Dutùr». Non ho voglia di fermarmi a parlare e procedo verso l’uscita con un sorriso di convenienza : «Ciao Pavanello. Stai bene».
Il taxi è già pronto e l’autista mi aiuta a deporre il pacchetto dal quale spunta un bouquet di fiori bianchi. Mi siedo dietro e d’istinto, porto la mano sulla bocca. Meno male, l’ho messa! Qui a Milano dove da un anno convivo con lei in Corso Buenos Aires, non c’è più tanta gente che circola per lavoro dal primo mattino. Solo pochissimi avventori di negozi per le spese da mangiare. Prevalentemente anziani e tutti in mascherina. Come d’altra parte è obbligo indossarla al tassista, a me e al mondo intero.
«Al Sacco per favore. Faccia in fretta!». Il tassista si gira e mi sorride con un aspetto guascone «Arrivamo in venti minuti, dottò. Stia tranquillo, non se deve preoccupà».
Gradisco sempre l’accento che mi ricorda la provenienza dove c’è ancora un’ Italia a dimensione d’uomo. In un istante il taxi si avvia nello sparuto traffico e la mente vola alle mie Marche tra il mare Adriatico e gli Appennini distanziati da appena quaranta minuti attraverso infiniti borghi medioevali. In questa situazione pandemica, sono mesi che non scendiamo più a Porto San Giorgio per oziare qualche tempo tra piatti succulenti di pesce fresco, buon vino Passerina e dolci ricordi da rivivere con i cari e i vecchi amici. Ispeziono il sacchetto. Tutto a posto. E’ il 30 Marzo e tutto è programmato per oggi. Mancano due mesi alla nascita del bambino ed è proprio giunta l’ora di dargli due genitori.
Educatamente il tassista non infrange i miei pensieri, forse perché il mio sguardo assente manifesta la preoccupazione per affrontare gli istanti successivi. Il taxi si ferma in perfetto orario dinanzi l’ingresso dell’ospedale. Sorrido al tassista, pago la corsa e lo saluto con un cenno confidenziale.
In cima alle scale dell’edificio i miei quattro amici più cari sono già in attesa.
«Ciao ragazzi, che meraviglia vedervi.» Le donne saltellano di gioia. Gli uomini, guardando prima loro poi me, allargano le braccia in segno di rassegnazione. «Vi prego, pensate voi al bouquet di fiori, al Ferrari, ai flut, alla veletta ….». Sto facendo l’inventario per la cerimonia e mi trema la voce.
Mi giro e poco più sulla destra, vedo un giovane con le sembianze yuppie anni settanta. L’unica differenza è che indossa la fascia tricolore e si lascia andare con un sorriso studiato allo specchio: «Dottore ben arrivato, vogliamo andare?». Indica a tutti i presenti l’ingresso del Sacco e ci invita a seguirlo. Bastano solamente pochi minuti di percorso che nell’aria si sente ancor meglio il clima di Milano dove la primavera stenta a entrare. Intorno non ci sono né i colori né il profumo della stagione tanto attesa. Le solite giornate uggiose della canzone di Battisti. Nonostante tutto, Milano è la città dell’amore perpetuo dove, anche in una giornata uggiosa di primavera, ti è permesso di sognare le rondini nei loro nidi sotto i tetti. Con Francesca abbiamo scelto la convivenza per sentirci, più che amanti liberi, liberi di amarci nell’attesa del fatidico “SI”.
In questi casi si è più aperti alla vita e allora può accadere che una tiepida sera d’autunno rientri a casa e trovi un buon Barolo in due calici con qualche spuntino a lume di candela e chiedi: «Oddio amore, mi sono perso una ricorrenza?».
Lei: «No, no amore mio, dobbiamo festeggiare l’arrivo di Daniele». Felicità totale. Milano è ancora più bella perché in questa città tutto sarà facile per Daniele. Inserito nella multinazionale che dirigo da qualche anno oppure nel mondo dell’alta moda dove la sua mamma è un’affermata stilista.
Purtroppo ora c’è un fatto da non sottovalutare: nessuno aveva previsto l’apocalisse pandemica del bastardo Covid-19. Nell’ultimo mese, monitorando i dati giornalieri della infezione arrivata all’improvviso, siamo rimasti in casa curati dal grande lavoro di assistenza del medico di famiglia. Appuntamento in video chiamata ogni giorno alla stessa ora. Monitoraggio dei dati della temperatura, della saturazione ossigeno, della pressione sanguigna e pulsazioni. Ogni dato anomalo compensato con una terapia ad hoc. Io ne sono uscito totalmente dopo 21 giorni, mentre Francesca, viste le condizioni di gravidanza, si è dovuta ricoverare in ospedale. Abbiamo scelto il Sacco perché lì c’è un ottimo professore infettivologo. La sua determinazione mi ricorda l’eroe doc marchigiano Carlo Urbani, premio Nobel nel 1999 come presidente Medici Senza Frontiere, che ha speso la sua vita nel 2003 per salvare dalla Sars-1 milioni di persone in Vietnam.
L’attesa di Daniele ci ha fatto scegliere anticipatamente la data del matrimonio: “30 marzo 2021”. Cioè oggi. Tra venti minuti. Oddio mi tremano le gambe. Siamo vicini alla stanza riservata alla cerimonia poi lei tornerà nella sua zona riservata. Mi hanno detto che non sta tanto bene, invece eccola. La vedo sull’uscio della stanza con le porte sostituite da un velo trasparente ancorato al soffitto. Come nello spot di Tornatore. Siamo in contatto di sicurezza, ma divisi.
«Quanto sei bella Francesca.» le sussurro emozionato. Lei sorride leggendomi il labiale. I suoi occhi lucidi non si staccano dai miei che stanno per gettare fuori fiumi di lacrime. Prendo il telefono e la chiamo in viva voce: «Amore eccoci. Quando nascerà Daniele potrà essere certo di trovare, non solo una vera famiglia, ma, soprattutto, una mamma bellissima.».
Lei ascolta e mi osserva sempre più emozionata, ma non riesce a parlare attraverso l’auricolare. Perché non ci riesce! Eppure ha il telefono acceso. Accidenti! Sta peggiorando. Mi annuisce sotto il casco dell’ossigeno e una lacrima le scorre sul viso. Vorrei strappare tutto, il telo, la sua armatura, abbracciarla e portarla via dal quel regno di morte. Faccio uno scatto in avanti, ma il primario mi riporta alla realtà. Mi prende per un braccio e mi sussurra all’orecchio: «Faccia in fretta quello per cui è venuto». Anche il Consigliere comunale ha compreso l’urgenza ed esegue la cerimonia in pochissimo tempo. Promessa di matrimonio e scambio delle fedi tramite le infermiere che con le loro lacrime contagiano tutto quel piccolo mondo circostante. Avevo provveduto a tutto: testimoni, veletta, bouquet di fiori, spumante Ferrari, ma non mi sono accorto di nulla. Già è tutto finito e io sono imbambolato come se stessi vedendo un film d’autore, quello che crea grandi emozioni, sensazioni di dolore di gioia. Quei film che assomigliano alla vita di tutti i giorni. Lei alza la mano sinistra per mostrarmi orgogliosa la fede all’anulare e accenna a non dimenticarmi della solita video chiamata giornaliera. Poi si accarezza il grembo e mi manda due baci. Il suo e quello del bambino. Dalla gola mi esce un urlo straziante: «Francesca non andare via… Resta qui con me.. Francesca ti prego…». Mi muovo verso di lei, ma vengo strattonato e bloccato da qualcuno al quale impreco frasi irripetibili.
Francesca è scomparsa dai miei occhi e comincio a odiare la realtà. Devo farmi forza, essere felice, eppure mi sento solo, abbandonato a me stesso come se la speranza del futuro si fosse dileguata con un soffio di vento. Così come era svanita Francesca dietro lo svolazzare chiassoso dei teli trasparenti. Con le mani sul volto mi accascio sulle ginocchia scivolando lentamente a ridosso del muro. Apro gli occhi e mi appare tutto come in un fermo immagine: gli amici pronti a brindare accompagnati dal sorriso del Consigliere yuppie. I medici e le infermiere, muti, con lo sguardo compassionevole su di me. Il silenzio totale mi sfonda i timpani come la musica che annuncia un brutto presagio!
I minuti trascorrono come un’eternità. Guardo ognuno di loro con indifferenza e mi decido. Prendo tra le mani il telefono e chiamo il radiotaxi. Tutto tace perché nessuno osa interrompere la scena. Io voglio tornare a casa. Magari per ubriacarmi di lacrime; impazzire di sorrisi soffocati dai ricordi; lasciarmi cullare da sogni felici per poi affogarli in più bicchieri di vino. «Quello che dovevamo fare lo abbiamo fatto». Sussurro alla platea che non sta godendo affatto del mio spettacolo. «Tra due mesi nascerà il piccolo. Intanto lei tornerà a casa da me, ogni notte tra le mie braccia. Siatene certi perché non può essere altrimenti!». Mi alzo e scappo via. Non voglio più nessuno accanto.
All’uscita dell’ospedale mi aspetta il taxi allo stesso modo di due ore prima sotto casa. «Corso Buenos Aires 18». Cosa risponde il tassista non mi interessa. Voglio solo pensare, pensare, pensare. Una brusca frenata mi riporta alla realtà. Accidenti siamo già lungo i Bastioni di Porta Venezia. Dal finestrino rivedo ogni panchina, ogni angolo romantico nascosto tra gli alberi che hanno segnato di ricordi la nostra storia d’amore. C’è il solito cane randagio scodinzolare a tutti gli amanti clandestini che trovano il pretesto di portargli da mangiare per incontrarsi di nascosto. Finalmente mi esce un sorriso. Il telefono vibra. Numero sconosciuto. Lo guardo ipnotizzato. In questi casi non rispondo mai anche se, qualche volta, ho sbagliato perdendo delle opportunità. Ora sento il desiderio di rispondere. Devo. Ho uno strano presentimento: «Si?». L’ansia mi divora.
«Dottor Valle? Sono il primario di ginecologia dell’ospedale Sacco. Abbiamo il problema di far nascere in fretta suo figlio. Dobbiamo effettuare un cesareo. Purtroppo la reazione fisica di sua moglie non è eccellente. E’ molto debole e questo ci preoccupa. Venga per favore. Abbiamo bisogno di alcune sue autorizzazioni…».
Le mie pulsazioni vanno alle stelle. «Sì… Sì… arrivo… ma cosa potrebbe accad…..ere….Prontooo…». Dall’altro capo oramai non risponde più nessuno. Batto il palmo della mano sul divisorio di plastica e urlo: «Presto, torniamo al Sacco che Francesca………». Le lacrime oramai mi soffocano le parole.
Il tassista mi guarda sconvolto. Ha capito bene. Inverte il percorso e mi ritorna una Milano sotto altri occhi, altri pensieri, ma con nuovi ricordi. Il taxi corre le vie di una città vuota e penso a un futuro bellissimo. Oramai sono certo che la bellezza della vita sconfiggerà tutte le brutture del mondo. Credo fermamente che per noi tre non può finire qui. E’ solo l’inizio di una nuova splendida vita oltre l’amore.