Walter Vallesi.
Consulente di marketing aziendale e Enti pubblici e privati ad indirizzo turistico/culturale. Ideatore di progetti per la conoscenza del mare con l’integrazione dei diversamente abili. Skipper d’altura, scrittore di racconti brevi, romanzi e opere teatrali. Al Concorso 50&Più nel 2017 vince la Farfalla d’oro per la poesia e nel 2018 la Farfalla d’oro per la prosa. Vive a Porto San Giorgio (Fm).
I miei genitori mi hanno chiamata Bopha, che vuol dire fiore, ma è meglio raccontarvi subito che il mio nome ora è Sophea. Infatti è così che mi ha voluto chiamare Doc Carlo appena mi ha conosciuta. Avevo 14 anni nel 1996 ed eravamo nel’estrema periferia di Phnon Penh in un’ora drammatica e in un giorno ancor più triste dell’inverno Cambogiano. Ora non abito più là. Sono trascorsi più di vent’anni e vivo ad Hanoi. Appena ci incontrammo sotto quei bombardamenti dei Kmer rossi, Doc Carlo mi urlò in uno slam inglese, che poi ho scoperto avere una cantilena Italiana, o meglio marchigiana, o più precisamente, anconetana: “Bambina! Togliti di lì. Ci pensiamo noi ai tuoi genitori! Stai sanguinando! Corri qui da me!”.
Infatti ero tutta insanguinata, terrorizzata, annichilita da quello scenario di guerra con i miei genitori sotto le macerie. Solo mia madre si muoveva a stento: “Doc ti prego. Ora la mia mamma sta male. Aiutala”.
Lui mi tirò su con le braccia facendo un cenno agli infermieri e alla scorta di provvedere ai feriti. Con i suoi occhi dolci e amorevoli, la barba morbida e profumata, mi faceva sentire al sicuro. Non avevo notato il cenno dell’infermiere che lo stava informando della morte di mia madre. Si mise a sedere ed esausto mi pose sulle sue ginocchia cominciando a curarmi le ferite. Iniziò a raccontarmi del suo Dio, che poi sarebbe dovuto essere anche il mio e di tutto il mondo. Questo Dio che vive in cielo e in ogni luogo. Che è un padre buono e che può risolvere ogni problema dell’umanità a patto che questa si comporti bene. “Basta avere fede e agire amando il prossimo come te stessa.” Intanto mi tamponava e incerottava le ferite. “Basta pregarlo con il cuore. Sempre. Ogni volta prima di addormentarti e al mattino quando ti svegli”.
“Perché Doc?”, gli chiesi incuriosita.
“Perché Lui è l’Amore. Ci ha creati con un atto d’amore e ogni mattina dobbiamo ringraziarlo perché ci fa il dono della vita e ci fa vivere sani come i pesciolini nel mare e gli uccelli su nel cielo. Tu sei una bambina sveglia, quindi da ora verrai con noi e noi ti chiameremo Shopea che, tradotto nella tua lingua, vuol dire: “colei che è intelligente”.
I miei genitori erano morti e si erano portati con loro anche il mio nome Bopha, quello di un fiore qualunque. Doc mi aveva eletta a bambina intelligente. Quell’italiano proveniente da Castelplanio, un paesino delle marche di 3500 anime tra il mare di Ancona e la montagna di Fabriano, quel dottorino dall’aspetto esile, smunto, con gli occhi attenti, buoni, illuminati da una luce strana come strano è l’agnello che resta calmo in mezzo ai lupi, quel marchigiano gentile, mi aveva salvato la vita durante l’ennesimo attacco dei Khmen rossi nella zona periferica della città dove vivevo con i miei genitori. Quel giorno era sotto scorta in visita medica per il controllo delle malattie epidemiche parassitarie. Io ero accanto ai miei genitori, sepolti sotto le macerie per un bombardamento accaduto da poche ore. Solo mia madre respirava ancora. La mia casa era piccola, sporca, con il tetto in lamiere, gelida d’inverno e rovente d’estate, priva di qualsiasi servizio. Comunque era l’unico luogo di comunione familiare e in un istante era tutto distrutto. Era stata spazzata via dai ribelli insieme alla mia famiglia. Mia madre lavorava in una fabbrica di vestiti, anche se, lavoro, non era la parola più indicata per descrivere le condizioni disumane a cui era sottoposta. Per non parlare dello stipendio da fame. Mio padre? Sempre malaticcio, ubriacone, vagabondo e violento. Doc è qui perché sapeva che le donne Cambogiane erano le prime ad ammalarsi perché non avevano gli stessi diritti degli uomini. Infatti mia madre non era mai felice.
La sentivo piangere di notte e avevo paura. Non potevo sapere che era stata licenziata senza un motivo e per ripiego aveva scelto di fare la prostituta. O, per meglio dire, ne era stata costretta. L’unica alternativa, per una donna Cambogiana nelle sue condizioni, sarebbe stata morire di fame e di botte dal marito fannullone, abbandonando i figli in mezzo alla strada. Molti uomini che venivano a giacere con lei non parlavano la mia lingua e magari erano anche malati.
Ma quel giorno tutto finì. Le nostre vite ebbero una svolta drammatica, ma di salvezza. Carlo Urbani era lì per salvarmi non solo come medico, ma anche per farmi crescere in un ambiente dove inseguire il miraggio di incarnare i sogni. Questo fu il suo insegnamento.
Seguendo il Doc italiano ho fatto dei miei sogni la mia vita e il mio lavoro. Lui era un medico senza frontiere specializzato in malattie infettive parassitologie tropicali e mi fece accogliere nell’ambito della struttura medica con il suo team, dove c’erano famiglie di volontari. Avevo ripreso gli studi e ogni tanto mi trovavo disperatamente senza la sua presenza perché viaggiava molto. Mi aveva inserito in un liceo dove potevo indossare una splendida divisa e dove pian piano mi stavo innamorando della professione di medico. Volevo diventare come loro. Come il Doc italiano. Curare le malattie infettive per debellare le infezioni tropicali.
Quando lui era a Phnom Phen, mi raccontava con estrema commozione dell’organizzazione mondiale della sanità e dei medici senza frontiere, della quale entità era presidente per l’Italia. Negli anni a venire seppi che per i suoi meriti venne insignito del premio “Nobel per la pace” e che, con i soldi ricavati, creò un fondo di accesso ai farmaci essenziali per i più poveri.
Intanto a capo dei Khmer rossi arrivò un uomo di nome Pol Pot e cominciò per l’intera popolazione cambogiana un’esistenza di fame, di fatica estenuante e di terrore. I Khmer rossi uccidevano per nulla. Si moriva per un pugno di riso, per una parola pronunciata distrattamente, per essere stati sorpresi inginocchiati a pregare. Molti morivano per le malattie, ma io, come mi insegnava il Doc, cominciavo a sentirmi protetta e amata da quel suo Dio che poi sarebbe dovuto essere di tutti gli uomini della terra. Anche di quelli cattivi che prima o poi si sarebbero convertiti all’amore per il prossimo.
Io, comunque, ero felice. Avevo perduto la mia famiglia e tutti mi chiamavano non più Fiore, Bopha, ma Intelligente, Sophea. Avevo trovato l’amore di una grande famiglia e, per loro tramite, anche l’amore di quel Dio fino allora sconosciuto. Così arrivò anche un miracolo. Appena terminato il liceo a Phnom Phen, Doc Carlo venne chiamato in Vietnam ad Hanoi per il controllo delle malattie parassitarie sul Pacifico occidentale. In Cambogia, tra i pericoli dei Khmer rossi, aveva terminato la missione di insegnamento su come curare le infezioni parassitarie. Così il mio sogno si avverò.
Doc Carlo era felice per il mio futuro perché ad Hanoi c’era l’università di medicina fondata nel 1902 da Yersin che fu lo scopritore del bacillo responsabile del parassita bubbonico. A 18 anni potei iniziare il corso universitario mentre il mio mentore cominciò il coordinamento di corsi internazionali quale l’Advanced Training on Tropical Medicine, frutto della collaborazione di medici senza frontiere e la fondazione De Carneri di Macerata in Italia. “Ricordati Sophea che le cause di morte nei paesi in via di sviluppo sono banalissime infezioni. Altro che misteriosi morbi esotici. L’economia globalizzata fissa le priorità più sul profitto che sui bisogni e non rende disponibili i farmaci essenziali secondo l’ordine mondiale della sanità. Quindi io denuncio questi fatti. Promettimi che anche tu continuerai a farlo quando sarai medico perché, se è vero che le parole non salvano la vita, il silenzio la uccide. Qui si sottovaluta che spesso sulle rive dei fiumi, qualche bambino infetto fa la cacca, che poi viene trasportata con la sua contaminazione. Ecco uno dei ritratti della trasmissione della Schistosomiasi. In questi paesi del terzo mondo fin’ora hanno prevalso gli Sciamani: guaritori che fanno da ponti tra la natura e gli esseri umani impersonificando le tradizioni di sentire le cose che gli altri non sentono, vedere le cose che gli altri non vedono, sentire gli odori che gli altri non percepiscono e infine curare con cose che curano solo le suggestioni. Pensa Sophea che la Fibrosi Epatica, curata in età scolare con un farmaco di pochi cent, è irreversibile”.
Il 28 Febbraio del 2003 io avevo 21 anni ed ero al terzo anno di medicina. Ad Hanoi, Jonny Chen, un uomo d’affari americano, colpito da polmonite atipica, venne ricoverato presso l’ospedale della città. Doc Carlo fu il primo ad arrivare e comprendere di trovarsi di fronte a una nuova malattia. Lanciò subito l’allarme all’osm e ottenne le misure di quarantena.
L’undici Marzo, durante il volo da Hanoi a Bangkok, Doc Carlo si sentì febbricitante e scoprì di aver contratto il morbo. All’atterraggio chiese subito di essere ricoverato e messo in quarantena. Accorsero medici dalla Germania e dall’Australia così che li costrinse a prelevare i tessuti dai suoi polmoni per analizzarli e da utilizzarli per la ricerca. Dopo 19 giorni di isolamento il Dottore buono, il mio salvatore, muore lasciandomi nella mia ovattata solitudine.
Grazie alla sua prontezza, il Vietnam fu il primo paese del Sud Est Asiatico a dichiarare che la sars, Sindrome Respiratoria Acuta Grave, era stata debellata. Doc Carlo Urbani, con la sua rapida dedizione, permise di salvare migliaia di vite.
Mi chiamo Sophea. Oggi ho 34 anni e sono laureata in Medicina con la specializzazione in malattie infettive tropicali. Secondo l’oms il metodo anti-pandemie realizzato nel 2003 dal mio Doc italiano di Castelplanio nelle Marche, rappresenta ancora oggi un protocollo per combattere e vincere questo tipo di malattie. Migliaia di cuori vivono grazie al dono della sua vita. Il Dottore dagli occhi buoni, proveniente dall’Italia e da quel piccolo paese marchigiano di 3500 anime, un giorno lontano ha salvato anche la mia vita donandomi la sua conoscenza e quella dell’amore. Quello per il prossimo. L’amore vero.
Grazie collega Doc, ti voglio bene.
Sophea Bopha.
Carlo Urbani (1956 Castelplanio (An)- 2003 Bangkok)
Medico Microbiologico Italiano. msf. oms. Medaglia d’Oro alla memoria per la Sanità Pubblica in: Italia, Vietnam, Cina, usa (Atlanta). Premio “Nobel per la Pace”. Denominazione urbani il ceppo Conavirus della sars. Intitolate Università e Ospedali (Vietnam, Cina, Camerino, Jesi, Bologna). Frasi: “Per me vivere all’estero deve essere una testimonianza di barriere abbattute”; “Ti abbraccio risentendo il sapore della fratellanza di Cristo”; “Occorre sapere dove sta il Bene e dove si annida il Male”. Un paradosso su tutti: ogni anno aziende farmaceutiche dedicano gran parte dei fondi a patologie come Obesità o Impotenza, mentre la Malaria e la Tubercolosi, che da sole uccidono 5 milioni di persone l’anno nei paesi in via di sviluppo, non attirano alcun finanziamento. Nota: Ogni riferimento al personaggio Sophea-Bopha è frutto della fantasia, ma le circostanze sono frutto del vissuto del Dottor Carlo Urbani.