“Cambiare l’acqua ai fiori” di Valerie Perrin è diventato in breve tempo un caso editoriale. E il motivo, secondo la scrittrice francese, è che ci indica la strada per uscire dall’insicurezza e dalle ansie portate dalla pandemia: basta guardare il mondo con un po’ di leggerezza.
Dice Valerie Perrin che per Violette la salvezza passa attraverso il rapporto con ciò che la circonda: «A un certo punto dell’esistenza, lei vuole solo lasciarsi andare. Grazie alla cura dei gatti e riconnettendosi alla terra, piantando le verdure, guardandole crescere, mangiandole, gustandole, si rende conto che la vita è dappertutto e soprattutto nella natura. E che la morte si trasforma in vita. Ovunque, in un albero, in una farfalla, nella bellezza del mondo, in un’aria di Bach. E non si vive che per questo».
Credo che moltissimi dei nostri lettori sappiano chi sia Violette Toussaint, l’eroina di Cambiare l’acqua ai fiori, il romanzo che ha prepotentemente imposto la sua autrice, Valerie Perrin, diventando uno dei più letti, se non il più letto, in questi ultimi due anni. Un po’ dramma, un po’ giallo, con qualche venatura rosa. L’indagine del lutto e della malattia, l’attenzione a chi sceglie una vita defilata, la preferenza per famiglie non tradizionali, i rintocchi della musica, la ricerca di identità sessuale, il dissidio interiore tra chi siamo e chi vogliamo essere: questo il mondo e i temi di Valerie Perrin. Una storia che, con toni lievi, preme sul cuore, della quale è stato giustamente detto: “Violette è una protagonista che fa bene e non somiglia a nessun’altra; Cambiare l’acqua ai fiori ha imposto prepotentemente la sua autrice per questa sua fortunata ricetta narrativa”. Pensiamo a Quaderno dell’amore perduto, che ne ha anticipato la felicità creativa, e al successivo Tre, che ne ha confermato l’originalità, il marchio di fabbrica.
La scrittrice francese sa trattare tematiche delicate con sensibilità, miscelandole alla storia e ai suoi personaggi, raccontando l’umiliazione, la cattiveria, l’amore, la sottomissione e la violenza coniugale, la scoperta del sesso e della libido, l’abbandono, la morte, la malattia, l’identità di genere.
Valerie Perrin ricorda che Violette è nata in un cimiterino della Normandia, vicino alla casa dei genitori del suo compagno. «Stavamo passeggiando con i nostri cani. Avevo degli stivali, ma erano troppo grandi per me. Così a un certo punto mi sono seduta su una tomba e ci siamo scambiati le scarpe. È stato in quel momento che ho avuto l’idea del custode del cimitero. Mi sono detta, è un personaggio così romanzesco, è fantastico. Ho capito che doveva essere una donna, sola. Ho avuto la rivelazione».
Il compagno è Claude Lelouch, il regista di Un uomo e una donna, e lei ricorda l’episodio un po’ commossa, a Pescara, durante la premiazione per l’ambito riconoscimento del Premio Internazionale Flaiano, che in precedenza è andato a scrittori come Marias, Cercas, Saramago. Non è potuta venire fisicamente nella città adriatica, a causa del Covid, ma è stata ugualmente “presente” attraverso il collegamento video, pronta a colloquiare con il suo pubblico e alle interviste.
Proprio la pandemia ci suggerisce la prima domanda a proposito di questo libro sulla vita e sulla morte, sulla memoria e sulla persistenza degli affetti, con la sua fragile, quasi indistruttibile leggerezza. Cambiare l’acqua ai fiori è diventato un oggetto di velocissimo consumo grazie anche al passaparola dei lettori, a cui poi si è aggiunta l’attenzione dei media e dei social. Forse perché, azzardo un’ipotesi, il Coronavirus, stravolgendo le esistenze e seminando angosce d’ogni tipo, ha costretto ognuno di noi come a resettare le proprie idee e il sentimento con cui guardiamo al mondo, il nostro stesso principio di realtà. Davvero la vita semplice di Violette che parla con i morti, si affeziona a chi rimane, dà nomi alle piante e alle cose, ha potuto offrire un piccolo specchio su cui riflettere la nostra riscoperta e sofferta fragilità.
Valerie Perrin è d’accordo. «Sì – dice -, l’impossibilità di frequentarsi è stata davvero dura da sopportare, la crisi economica è stata molto feroce e continua ad esserlo ancor più in questi tempi di guerra. La pandemia resta un evento drammatico. Ci siamo accorti improvvisamente di essere meno sicuri di noi, con meno certezze e tanti, troppi interrogativi sulla natura, sulla scienza, sulla nostra presenza nel mondo».
Come se il sipario si fosse aperto su una nuova scena, forse inattesa per la violenza con cui si presentava?
In situazioni del genere anche i libri diventano quello che i lettori riescono a pensare e a immaginare sui loro personaggi. E i lettori possono essere rigenerati dai loro sentimenti e dalle loro scelte. Possono riflettere meglio su ciò che sta capitando. È una forma quasi di osmosi spirituale. Durante la pandemia non abbiamo potuto salutare i nostri morti. Se in qualche maniera lo abbiamo potuto fare muovendo la nostra fantasia e i nostri sentimenti, è un po’ grazie alle emozioni e al coinvolgimento che il mio romanzo forse poteva permettere. Una coincidenza quasi involontaria che è servita per avvicinarsi ancor più alla storia di Valerie.
Una storia struggente, inquieta e anche malinconica, eternamente sospesa?
Una storia in cui appaiono determinanti i valori semplici e insieme fondanti. La custode di un cimitero circondata dagli amici si accontenta di quel poco che è davvero fondamentale e insostituibile, non le interessano le pailettes e le luci della scena. Durante il lockdown abbiamo tutti pensato di ritrovare questi valori veri della vita, il bosco, la natura, la terra. Dobbiamo smettere di saccheggiare la terra. Penso che Violette per ogni lettore e anche e soprattutto per me stessa, sia stato un angelo custode, una nostra sorella, un’amica davvero insostituibile.
Valerie Perrin dice che a questo punto, dopo Pescara, inizia il suo periodo di isolamento creativo, niente più viaggi e interviste, inizia a scrivere il suo quarto romanzo. Non ne anticipa nulla: «Scrivere è sempre un viaggio nell’incognito alla ricerca di una soluzione, di una illuminazione».
I suoi tanti lettori ora aspettano di intraprenderlo con lei.
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