A 60 anni dalla catastrofe del Vajont, la FederBim – la Federazione dei Consorzi interessati da bacini imbriferi montani – è stata premiata per il suo impegno con le popolazioni locali.
Il 9 ottobre 1963, poco dopo le 22 di sera, dal Monte Toc, sul confine tra la provincia di Pordenone e quella di Belluno, si staccano 270 milioni di metri cubi di roccia. A 90 km orari in 20 secondi, superata la diga, questa massa finisce nel lago generando un’onda di 50 milioni di metri cubi. I paesi sottostanti vengono spazzati via in pochi minuti, i morti sono 1917, 400 dei quali mai più ritrovati. Ai soccorritori si presenta uno scenario apocalittico: Longarone, Castellavazzo, Codissago, Fortogna, Dogna e Provagna, Erto, Casso e diverse frazioni non esistono più. Case, persone, animali… tutto è sommerso da metri di fango. Sull’onda dell’emozione generale la macchina degli aiuti si mette subito in moto (quella giudiziaria invece fu molto più lenta e costellata di ostacoli).
Il premio a FederBim
Pochi giorni fa Gianfranco Pederzolli, presidente di FederBim – Federazione dei Consorzi interessati da bacini imbriferi montani – ha ricevuto a Langarone il premio Murazzi alla memoria di Gianfranco Trevisan. Tutto è avvenuto durante uno degli appuntamenti pubblici per ricordare il 60° anniversario della tragedia umana del Vajont.
Il progetto del “Grande Vajont”, iniziato negli Anni ’50, prevedeva infatti la costruzione di una diga sul torrente omonimo, a cavallo tra Friuli e Veneto. Lo sbarramento serviva a creare un lago di raccolta delle acque necessarie alla vicina centrale elettrica per la produzione di energia. Siamo nel dopoguerra, in pieno boom. L’Italia è povera di carbone e l’acqua è la risorsa principale per avviare il grande processo di industrializzazione voluto dal Governo. Così l’uomo, per profitto, modifica la morfologia della valle senza considerare le conseguenze drammatiche di quel gesto.
L’impegno della FerBim
Tra i gesti di solidarietà ad una popolazione in ginocchio, costretta ad accettare risarcimenti economici indegni (3 milioni di lire per la perdita di un coniuge, il nonno o il nipote vale 500 mila lire), anche quello della FerBim, la Federazione Nazionale dei Consorzi di Bacino Imbrifero Montano.
L’ente non rappresenta solo le problematiche dei vari centri montani riuniti nei Consorzi Bim. Si ripropone di riconoscere un ruolo strategico alla montagna e di promuoverne lo sviluppo, minacciato dal turismo di massa e dai cambiamenti umani e climatici.
Nel ricevere l’omaggio dal sindaco di Longarone, Roberto Padrin, il presidente della Federazione Gianfranco Pederzolli ha ricordato la scelta fatta allora dai comuni del Consorzio di stanziare il capitale pubblico ricevuto per creare di un fondo di solidarietà. Ma di quale capitale si parla?
La montagna, fonte di ricchezza partecipata
Lo sviluppo economico richiedeva energia. Le imprese quindi salivano in montagna a prendere l’acqua per far girare le linee di produzione di Torino, di Milano, di Marghera. L’Italia non aveva carbone, l’acqua era l’unica risorsa disponibile. Questo processo ha avuto un grande impatto sui territori di montagna creando ricchezza, investimenti, infrastrutture, lavoro, formazione. Ma anche grandi stravolgimenti, trasformazioni del paesaggio, del clima, della fauna e delle vocazioni territoriali. In riconoscimento di ciò nel ’53 arriva per legge il sovracanone BIM. È pagato come “copartecipazione” ai comuni interessati, dai gestori degli impianti idroelettrici che utilizzano acque pubbliche per produrre energia. Proprio quella somma fu impiegata per aiutare i sopravvissuti.
Una strage industriale
Il crollo della diga del Vajont non fu un evento naturale. Si è trattato piuttosto di una strage industriale annunciata, legata – lo hanno stabilito anni di indagini e testimonianze – alle logiche del profitto, alle quali purtroppo neanche lo Stato rimase estraneo. Pur costituitosi parte civile nel processo che si tenne a L’Aquila, questo, infatti, non ha potuto scrollarsi di dosso l’accusa di responsabilità che grava sui suoi funzionari, prima e dopo la tragedia. Solo durante le commemorazioni per il 50° anniversario, il 9 ottobre 2013, l’allora presidente del Senato, Pietro Grasso, chiese scusa alle vittime e ai superstiti “con umiltà e commozione”.
Memoria del Mondo
Al di là delle cifre spaventose che hanno segnato la fine di intere comunità, il Vajont – lo ha ricordato di recente il presidente Sergio Mattarella – “continua a dare una lezione terribile ed indimenticabile di quanto sia importante la tutela del territorio”. È il simbolo della violazione umana del limite nella trasformazione della Natura.
Unesco e Onu hanno riconosciuto il valore universale di questo disastro quale Memoria del mondo. Ma ricordare il 60° anniversario ha un senso solo se, accanto al risarcimento sociale, si giunga presto ad una verità storica che sia di monito per il futuro. “Senza nulla togliere all’importanza dei processi giudiziari e storici”, ha dichiarato Pederzolli nel corso della cerimonia, “sentiamo il bisogno di affrontare il presente forti della lezione del passato”.
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