Siamo tutti in attesa di un vaccino anti-Covid che ci protegga dalla malattia che ha sconvolto l’intero pianeta. Non sarebbe la prima volta che una epidemia finisce grazie a una campagna di immunizzazione. La storia è piena di esempi del genere. La lezione da imparare? I vaccini sono stati una vera svolta in passato. E lo saranno in futuro.
In questo momento non c’è scoperta scientifica più attesa di un vaccino anti-Covid. Lo aspettiamo con trepidazione perché sappiamo che riuscirebbe a riportare la normalità in questo mondo sconvolto dalla pandemia. Come mai abbiamo questa aspettativa? L’invito a riporre la nostra fiducia nelle campagne di immunizzazione arriva dalla storia. È così che sono state sconfitte molte malattie in passato ed è così che sarà in futuro. Abbiamo chiesto a Donatella Lippi, docente di Storia della Medicina e Medical Humanities presso il Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica dell’Università degli Studi di Firenze, di aiutarci a ripercorrere l’avvincente storia delle vaccinazioni.
Professoressa Lippi, quanto dobbiamo alla scoperta dei vaccini?
Tanto. Il tipo di protezione che garantiscono i vaccini è duplice: offrono una protezione diretta del vaccinato dalla malattia bersaglio (protezione individuale) e una protezione indiretta dei soggetti che vengono a contatto con il vaccinato, in quanto quest’ultimo non è colonizzato e non diffonde agli altri i microrganismi patogeni verso cui è stato vaccinato (protezione di gruppo o immunità di gregge).
I vaccini hanno segnato davvero una svolta? Se sì, perché?
I vaccini possono essere annoverati tra le grandi conquiste della medicina dell’era moderna, per diversi motivi. In primo luogo, hanno permesso di sconfiggere alcune malattie, a partire dal vaiolo, considerato eradicato nel 1980, e consentono tuttora di prevenire molte altre malattie infettive che in precedenza provocavano la morte o menomavano milioni di persone ogni anno. In secondo luogo, aprono nuove strade per il trattamento sia di infezioni tuttora diffuse sia di altre patologie, incluse quelle tumorali.
Ci spieghi… esistono vaccini che prevengono tumori?
La scoperta del legame tra Papilloma Virus e cancro della cervice ha dato luogo allo sviluppo di un vaccino in grado di contrastare il tumore. Il cancro della cervice è uno dei tumori più comuni nelle donne nei Paesi in via di sviluppo: il vaccino oggi disponibile può prevenire tra il 70% e l’80% dei carcinomi del collo dell’utero, se somministrato prima dell’inizio dell’attività sessuale.
Facciamo un salto indietro. Quando c’è stato il cambio di paradigma: prevenire piuttosto che curare?
Il cambio di paradigma è avvenuto nel corso del XVIII secolo, quando, grazie alle istanze che avrebbero portato alla Rivoluzione Francese, è emerso il concetto di collettività, sono state differenziate varie categorie di cittadini (vecchi, bambini, donne), l’ospedale è diventato un luogo di cura e di studio: la “polizia medica” inaugurata da Johann Peter Frank in Austria e nei territori soggetti, come il Lombardo Veneto, ha promosso un “controllo” del cittadino dalla “culla alla tomba”. Si è sviluppata la clinica, è nata la cartella clinica e si è affermata l’anatomia patologica. Correlando il dato post mortem con la sintomatologia, si sono identificate categorie di segni e sintomi analoghi, che hanno permesso di formulare la possibilità di un intervento sulla diffusione delle malattie, promuovendo il concetto di prevenzione.
Qualche esempio?
Basti pensare alla tubercolosi: se tutti i pazienti con certi sintomi avevano decorso infausto e mostravano, al riscontro autoptico, certe lesioni polmonari, diventava necessario interrompere questa catena, isolando i pazienti e prevenendo l’aggravarsi della malattia. Nacquero poi i sanatori, per coloro che erano già malati, e i preventori, per i bambini che vivevano in ambienti predisposti alla tubercolosi, in modo da garantire ambiente e alimentazione adeguati.
Prima dei vaccini veri e propri quali tentativi venivano fatti per evitare il contagio di malattie infettive?
Premesso che il concetto di malattia infettiva non esisteva, si è fatto ricorso all’isolamento, all’uso di sostanze dall’aroma forte, che avrebbero dovuto purificare l’aria, ritenuta responsabile della diffusione della malattia: aceto, aromi…
Da quello contro il vaiolo all’antipolio… Possiamo ripercorrere le tappe basilari, i principali progressi?
La rivista Jama qualche anno fa pubblicò uno studio storico-comparativo sulla morbidità e la mortalità per malattie prevenibili col vaccino negli Stati Uniti, fornendo una serie di dati che possono essere confrontati con i casi denunciati dal Center for Disease Control: nel 2011, non è stato registrato alcun caso di vaiolo, difterite, sindrome da rosolia congenita e polio (paralitica). Rispetto al secolo precedente, la diminuzione percentuale è del 100%. Ma anche morbillo, parotite, rosolia hanno visto un decremento del 99%. E così tetano, Haemophilus influenzae tipo b e pertosse. Un caso esemplare è quello della poliomielite.
Ci può ricordare l’impatto del vaccino antipolio?
Ad oggi, grazie ai vaccini, la poliomielite è stata quasi eradicata completamente: a livello mondiale da circa 350mila casi registrati nel 1988 a 1.652 casi del 2007, sino al minimo storico di 223 casi nel 2012. L’ultimo caso americano risale al 1979, mentre in Italia è stato notificato nel 1982.
Come si è arrivati al vaccino per la poliomielite?
La prima grande epidemia di polio documentata negli Stati Uniti si era verificata in Vermont nel 1894, quando vennero denunciati 18 morti e 132 casi di paralisi permanente: nel 1908, fu dimostrato che la poliomielite è causata da un virus. Le numerose epidemie provocano danni irreversibili alla popolazione: nel 1929 viene inventato il polmone d’acciaio. Quando inizia l’uso del vaccino di Sabin, la situazione cambia, ma non nei Paesi in via di sviluppo: nel 1988 si contano circa 350mila casi di polio in 125 Paesi, ma grazie a una campagna globale coordinata dall’Oms nel 2006, il numero di Paesi polio-endemici scende a quattro (Afghanistan, India, Nigeria e Pakistan) e, oggi, parte dell’India è libera dalla polio.
Quali sono state le reazioni della popolazione alle prime campagne di vaccinazione?
Le reazioni sono state molto negative. Pensiamo al caso del vaiolo quando Lady Montague promosse la variolizzazione, cioè l’innesto di vaiolo umano (inoculare nella persona da immunizzare materiale prelevato da lesioni vaiolose o croste di persone malate, ndr), come aveva visto fare a Costantinopoli: i governi illuminati ne seguirono l’esempio, ma la Chiesa si oppose sia perché non si poteva interrompere il disegno di Dio, sia perché l’usanza veniva da un Paese pagano. Anche quando Jenner sostituì il vaiolo umano col vaiolo vaccino (veniva inoculato il vaiolo bovino, ndr), non fu visto con favore perché si contaminava l’uomo con l’animale. Ma poi ci si è resi conto che la vaccinazione funzionava e, per questo, dopo le iniziali resistenze anche i parroci furono coinvolti nell’opera di sensibilizzazione alla vaccinazione.
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