Da metà gennaio a oggi, se avessimo vaccinato sin da subito la popolazione anziana e fragile, avremmo probabilmente salvato oltre 6.000 vite. In Europa, peggio dell’Italia per tasso di mortalità, c’è solo la Polonia. Le conseguenze di una campagna vaccinale poco trasparente e incoerente nel report dell’ISPI.
«Vaccinando tutti i 7.080 abitanti di Capri, con la loro struttura demografica, con tutti contagiati salveremmo circa 90 vite. Se utilizzassimo quelle dosi per la popolazione ultraottantenne, salveremmo 710 vite. 90 contro 710: quale scelta sarebbe più logica?». A porci la domanda è Matteo Villa dal suo profilo Twitter. Ricercatore dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) è autore di un report su vaccinazioni e mortalità in Italia e in Europa pubblicato lo scorso 9 aprile. La risposta sembrerebbe ovvia, ma per come sta procedendo la campagna vaccinale in Italia, non lo è. Vediamo perché.
Il ritardo italiano
A fine febbraio, l’Italia aveva solo il 6% di vaccinati over 80 con la prima dose. Questa percentuale era già al 22% in Francia e al 23% in Germania. In un mese, il nostro Paese, con il 57% di vaccinati fra i più anziani, ha raggiunto la Francia (62%). Sono i dati pubblicati dall’ISPI al culmine di un acceso dibattito sulle persone che avrebbero dovuto avere accesso prima alle dosi disponibili. Dibattito che ha condotto il Commissario straordinario per l’emergenza Covid a firmare, lo scorso 6 aprile, un’ordinanza per mettere nero su bianco che i primi a dover essere vaccinati sono gli ultraottantenni, le persone fragili con familiari conviventi e caregiver, le persone fra i 70 e 79 anni e quelle fra i 60 e i 69 anni.
“Obiettivo 80” ancora lontano
Nonostante l’impulso alle somministrazioni fra i più anziani, però, l’Italia resta ben lontana dall’obiettivo fissato dall’Unione Europea a gennaio: raggiungere l’80% di vaccinati over 80 entro il 31 marzo 2021. Così come è irrisolto il ritardo riguardante le altre categorie maggiormente a rischio. Se Parigi ha già vaccinato il 50% dei 70-79enni, in Italia si è rimasti fermi al 13%. «Persino questo sforzo – commenta Villa – non è stato sufficiente a sopperire ai problemi iniziali della campagna vaccinale. Tanto che ancora oggi l’Italia si situa pienamente a mezza classifica, tredicesima su ventiquattro Paesi nelle vaccinazioni agli over 80».
Un triste primato
Inoltre, nel nostro Paese continuano a registrarsi quasi 400 decessi per Covid al giorno. Siamo il secondo peggior Paese per mortalità in Europa dopo la Polonia che, attualmente, sta affrontando la seconda ondata. In Italia, si registrano 45 decessi settimanali per milione di abitanti, in Francia 32 (-29%), in Germania 16 (-64%) e nel Regno Unito solo 11 (-76%). A cosa sono imputabili questi numeri? «Sicuramente al successo e alla rapidità della campagna vaccinale nel Regno Unito», spiega Villa. «Lì, come in Germania, le misure di contenimento sono state anche più lunghe e significative rispetto a quelle adottate in Italia. Un esempio guardando alla mobilità. Secondo i dati Google, la frequenza di persone si è ridotta del 60% e oltre rispetto al periodo pre-pandemia in entrambi dalla stretta di Natale ai primi di marzo. In Italia, invece, al lockdown di dicembre 2020 (-55% di mobilità) è seguita una rapida attenuazione delle misure, che ha condotto al -30% di mobilità a febbraio. Quindi, la metà della diminuzione registrata a Berlino e Londra».
Priorità alle categorie “sbagliate”
Secondo l’ISPI, la spiegazione della maggiore mortalità in Italia è nel modo in cui sono stati somministrati i primi vaccini. Il numero di dosi pro capite ricevuto da ogni Paese europeo, infatti, è molto simile, visto che gli acquisti sono gestiti dalla Commissione Europea e la distribuzione avviene sulla base del numero di abitanti per Stato membro. La Francia, peraltro, ha registrato anche delle percentuali di riduzione della frequenza di incontro fra le persone simili all’Italia (da -45% a -40%). Tuttavia, il dato sui decessi nella nostra penisola è peggiore del 30%: perché? Il nostro Paese, con criteri poco coerenti e liste poco chiare, ha vaccinato le categorie “sbagliate” rispetto a Francia, Germania e Regno Unito. Sono state ignorate, insomma, le raccomandazioni di dare priorità agli over 80.
Vaccinare gli over 80 è un vantaggio per tutti
Fra gli ultraottantenni il rischio di decesso per Coronavirus varia fra il 7 e il 12%. Ciò significa che ogni 100 persone over 80 che entrano in contatto con il virus, circa 10 moriranno a causa dell’infezione che ne consegue. Ecco spiegato perché il Direttore regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Hans Kluge, parlando all’Europa ha sottolineato come “vaccinare gli anziani in ogni Paese è responsabilità morale di tutti”. Le conseguenze di aver disatteso questo impegno sono state drammatiche. Secondo le stime dell’ISPI, da metà gennaio a oggi, considerato l’andamento delle infezioni nel Paese, in Italia le vaccinazioni dovrebbero aver salvato circa 2.500 vite. «Ma se avessimo vaccinato sin da subito la popolazione anziana e fragile, il numero di vite salvate a oggi sarebbe stato probabilmente intorno alle 8.900», spiega Villa. «Si tratterebbe di 6.400 decessi in più, e questo numero continuerà a crescere nelle prossime settimane e mesi».
E nel resto dell’Europa?
Le cose in UE vanno meglio ma di poco. Innanzitutto, tre paesi – Olanda, Spagna e Romania – non comunicano dati ufficiali. Dei restanti 24 Stati membri, nessuno è vicino all’obiettivo di vaccinazioni completate e solo 5 hanno raggiunto il traguardo dei vaccinati over 80 almeno con la prima dose. Malta, Irlanda, Svezia, Finlandia e Portogallo. Seguono Danimarca, Lussemburgo e Germania. Per gli altri, come per l’Italia, l’obiettivo resta distante. Eppure, mettere al centro la popolazione anziana e fragile, rimediare subito agli eventuali errori, non accumulare ritardi sarebbero fattori critici di successo nelle campagne vaccinali nazionali. Invece, ogni settimana di ritardo è un macigno sulle vite di milioni di persone.
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