No, non scende dal cielo. E anche se la prima cosa a cui pensiamo – quando sentiamo parlarne – è il famoso racconto biblico, la manna non ha nulla di miracoloso. La manna si ottiene in realtà dalla solidificazione della linfa che d’estate fuoriesce dai fusti di una specie di frassino, detta orniello.
Si tratta di un composto zuccherino costituito principalmente da mannite, acidi organici, acqua, glucosio, fruttosio, mucillagini, resine e composti azotati e la sua struttura è influenzata dalla zona di provenienza, dall’esposizione, dal terreno, dall’età delle piante e dall’andamento stagionale.
Una panacea che attraversa i secoli
Per greci e romani era il “Miele di rugiada” o la “Secrezione delle stelle”. La parola deriverebbe dall’ebraico Mân Hu, ovvero “Cos’è?”. Questa infatti fu la domanda che gli ebrei si rivolsero davanti a quel cibo sconosciuto, mandato da Dio nel deserto per sfamarli.
Di manna si sono occupati tutti: erboristi, botanici, medici, alchimisti. La sua fortuna è legata alle sue proprietà. Ricca di oligoelementi, vanta proprietà energizzanti, depurative e rinfrescanti. È ben tollerata dai diabetici perché, pur essendo dolcissima, non altera il livello glicemico del sangue. Per non parlare del suo utilizzo in cucina e in cosmetologia.
Una tradizione a rischio
Un tempo se ne produceva a sufficienza. Poi la produzione di mannitolo di sintesi, all’inizio del Novecento, fece diminuire la richiesta del mercato, portando questa antica cultura sull’orlo dell’estinzione.
Oggi, infatti, in Italia la coltivazione dei frassini da manna avviene esclusivamente in Sicilia, nelle zone di Castelbuono, Cefalù e Pollina. Se in passato la sua produzione aveva un peso consistente sul bilancio locale, col tempo il progressivo abbandono del lavoro agricolo aveva finito per mettere in crisi il mercato della preziosa resina.
Fortunatamente però qualcuno, per passione e tradizione, ha scelto di salvare e custodire questo costume millenario. Si chiama Giulio Gelardi, è siciliano ed è considerato uno degli ultimi “intaccatori”.
Salvare le radici culturali
La manna è un patrimonio contadino, tramandato per generazioni da padre in figlio. Così è stato anche per Giulio Gelardi, che racconta: «Mio padre era uno dei più vecchi produttori di manna, ma io detestavo quel lavoro, massacrante e poco redditizio». Per questo motivo, a 18 anni, lascia la Sicilia. Giovane sessantottino, sceglie di girare il mondo, alla ricerca di nuove esperienze.
Ma la manna è sempre lì, nella sua mente. Sente che perdere quel sapere significa condannare all’oblio la cultura dei suoi antenati, di suo padre e suo nonno. Decide di tornare, con l’intento, però, di fare di una tradizione contadina un’impresa economica. A 35 anni inizia quindi a lavorare a fianco di suo padre Francesco, diventandone, a tutti gli effetti l’allievo. «Mio padre come tutti i contadini era anche un filosofo – dice sorridendo -. Per qualche anno osservai in silenzio il suo modo di usare il “mannaruòlo”, il coltello da manna, per diventare a mia volta un “mannaluòro” provetto.
Giulio lavora alla manna d’estate e studio d’inverno. Raccoglie ogni tipo di informazione, perfeziona la tecnica di raccolta, ed oggi, a 70 anni, può dire finalmente di aver vinto la sua sfida.
Il retaggio della cultura contadina
Come estrarre la manna non è l’unico cosa che Giulio Gelardi ha riscoperto con il suo lavoro. Tra le antiche tradizioni, c’è anche quella del canto: è infatti convinto che i frassini amino la musica. «Tradizionalmente – sostiene – tutti i frassinicoltori cantano durante la raccolta». Anche gli attrezzi hanno a che fare con la musica: «L’antico attrezzo è l’archetto, per tagliare la manna radente al tronco e ottenere un prodotto netto, pulito. In passato si faceva con una corda di chitarra. Oggi uso un filo di nylon. Ma l’archetto lo uso ancora per raccogliere quella che scappa lungo il tronco», spiega.
L’economia della manna: un presidio Slow Food che la sta salvando
Ma il retaggio degli avi influenza anche tutte le sue altre scelte: dalla natura si prende solo quanto serve. Bisogna sapere dove praticare le incisioni e per quanto tempo è possibile farlo senza sfruttare troppo l’albero. La produzione dei suoi frassini è infatti di appena 250 chili l’anno.
L’idea brillante, però, è stata l’avvio della vendita diretta, anche sotto l’impulso di Slow Food che ha creato un presidio apposito. «Prima – ha dichiarato Gelardi nelle interviste – la vendevamo in grossi quantitativi all’industria, senza poter contrattare il prezzo. Vendendola noi oggi al dettaglio non vediamo più svalutato il nostro lavoro, possiamo controllare i prezzi, e mantenere in vita questa raccolta tradizionale».
Dunque, per assaggiare la sua manna non resta che andare a Pollina, in Sicilia, dove in 30 anni il sogno di un ex sessantottino ribelle si è trasformato in realtà. «Come tutti – ha ammesso – avevo vissuto sognando meraviglie estranee. A volte siamo così abituati alla bellezza che non ce ne rendiamo conto. Dobbiamo essere lontani per capirne il valore». Una conclusione degna di un grande filosofo.
(Foto Apertura: YouTube Slow Sicily)
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