Esiste un profilo psico-comportamentale degli uomini violenti: i cosiddetti “pitbull/sangue caldo”, irruenti ed emotivi, e i “cobra/sangue freddo”, che controllano le emozioni ma sono in grado di compiere gesti estremi
La contabilità è agghiacciante. Ogni tre giorni viene uccisa una donna dal “suo” uomo: in Italia, negli ultimi anni, si registra un numero pressoché costante di femminicidi che affollano le pagine della cronaca quotidiana dei (tele)giornali. Mentre rimane incerta la statistica dei maltrattamenti in famiglia: taciuti e non denunciati.
Ma perché, e chi sono, i maschi che ammazzano, deturpano, picchiano mogli, amanti, compagne e, sempre più spesso, coinvolgono nella loro furia omicida anche i figli? Si tratta di soggetti psichicamente alterati? O solo di uomini prepotenti che esercitano la violenza contro le donne?
«Non sono matti – ci dice Andrea Cicogni, direttore del Servizio Salute Mentale per il quartiere 5 a Firenze, nonché referente scientifico della Asl Toscana Centro per il C.A.M., il Centro di Ascolto per uomini Maltrattanti, nato dodici anni fa per contrastare e prevenire le degenerazioni violente del comportamento maschile -. Nella quasi totalità dei casi sono uomini sani di mente che usano potere e controllo sulle (ex) partner. Attraverso continue aggressioni, minacce, intimidazioni e umiliazioni. Le vittime vivono così in un costante stato di paura e senso di perdita della libertà. Questo meccanismo persecutorio è stato definito “controllo coercitivo” e rappresenta – già – un reato in cinque Paesi del mondo: Irlanda, Inghilterra, Scozia, Galles e Francia».
«Il femminicidio o ginocidio, quindi, è l’atto estremo di un comportamento ipercontrollante – ribadisce lo psichiatra e psicoterapeuta – ripetuto nel tempo. Altro che il drammatico epilogo di una momentanea perdita di autocontrollo, come viene talvolta raccontato secondo un vecchio e consolidato stereotipo. E l’ambiente in cui si consuma la violenza di genere non riguarda semplicemente, come ancora si tende a credere, realtà caratterizzate da marginalità ed emarginazione: il fenomeno non risparmia nessuna fascia sociale rispetto alle condizioni culturali, economiche e all’educazione religiosa di chi maltratta le donne. Come dimostrano tutti gli studi, le ricerche e i dati statistici relativi alla violenza domestica. Sono poi da bandire tutti gli atteggiamenti volti a minimizzare la violenza agita: “Le ho dato solo uno schiaffo”. Oppure: “È solo una scaramuccia amorosa, in fondo ci vogliamo bene”. O ancora: ”È solo un bisticcio”. E a colpevolizzare la donna: “È lei che tocca i miei punti deboli”. “È lei che mi ha provocato. Io mi sono solo difeso”. Non esistono giustificazioni per il femminicidio. È un reato contro la persona e come tale va perseguito».
Esiste un profilo psico-comportamentale degli aggressori?
La letteratura riporta più d’una tipologia di uomini maltrattanti. Jacobson e John Gottman, docenti presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Washington, hanno classificato, ad esempio, i maltrattanti in base alle loro reazioni emotive in due categorie: i “pitbull/sangue caldo” e i “cobra/sangue freddo”. I primi sono disforici, alternano fasi di depressione a fasi di eccitazione, hanno paura dell’abbondono. Mentre aggrediscono diventano rossi, urlano e si agitano. I cobra sono sociopatici, hanno paura dell’intimità, sarebbero pronti a uccidere in caso di rottura della relazione, pianificando accuratamente ogni azione. In generale si tratta perlopiù di uomini fragili per cui l’abbandono diventa motivo di vita e di morte, di narcisi insensibili alla sofferenza che infliggono, di individui intrisi di una cultura patriarcale e maschilista incapaci di una relazione alla pari.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una donna su tre ha subìto una forma di violenza nel corso della sua vita dai 15 anni in poi. Ma le vittime spesso non denunciano.
Sì, purtroppo è vero. Spesso le donne non denunciano, tengono il dolore tutto per sé, non si confidano nemmeno con i parenti. L’emersione, così come la prevenzione, della violenza di genere va affrontata con il coinvolgimento dei genitori, di sorelle, fratelli, medici di famiglia, pediatri, medici del pronto soccorso, psicologi e insegnanti. Se una donna su tre subisce violenza, si suppone che un maschio su tre sia un “maltrattante”. Anche tra gli adolescenti c’è chi maltratta le coetanee. Nelle scuole italiane l’educazione affettiva è negletta. Negli Stati Uniti si insegna ai teenager a riconoscere i segnali premonitori della violenza. Se un ragazzo pretende da una ragazza di sapere sempre dove e con chi sia, le controlla il cellulare, la minaccia, le impedisce di incontrarsi con gli amici, è ovvio che non si tratta di amore, ma del principio di una storia dolorosa, segnata da possessività e gelosia.
Infine, dottor Cicogni, lei è tra i fondatori del primo C.A.M. in Italia. Di che si tratta?
Il C.A.M. è un punto di riferimento per quegli uomini che vogliano assumersi la responsabilità del loro comportamento di maltrattamento – fisico, psicologico, economico, sessuale, di stalking – ed intraprendere un percorso di cambiamento.
Quanti uomini maltrattanti sono passati nel Centro?
Dal 2009 ad oggi circa mille.
E qualcuno è cambiato?
Sì.
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