Giornalista, attivista, ma soprattutto un ragazzo come tanti, Impastato è stato uno dei pochi a denunciare i loschi affari della mafia locale. Un coraggio pagato a caro prezzo
9 maggio 1978. Non è solo la data del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Quel giorno traccia anche una linea di separazione tra la mafia e l’antimafia. Quarantaquattro anni fa veniva ucciso Peppino Impastato. Era un giornalista, un attivista, ma prima di tutto un giovane siciliano che voleva combattere la criminalità organizzata nella sua terra, Cinisi, provincia di Palermo, in quella Sicilia così bella e dannata.
I cento passi
Per farlo, si era ribellato prima al padre mafioso che lo ha messo alla porta, poi fondando il giornalino L’idea socialista, il gruppo “Musica e cultura” e, nel 1977, “Radio Aut”, libera e autofinanziata. Lo aveva fatto per denunciare gli affari dei mafiosi del Paese e di Gaetano Badalamenti, boss di Cosa nostra. La sua casa distava da quella di Badalamenti solo 100 passi: da qui è nato il film I cento passi di Marco Tullio Giordana, che racconta la storia del giornalista ucciso dalla mafia.
Nell’anno della sua morte, Peppino era candidato al Comune con “Democrazia proletaria”. Non riuscì a vedere il giorno delle elezioni: il suo corpo venne ritrovato prima, lungo i binari della ferrovia, sotto una carica di tritolo. In tanti decisero di scrivere ugualmente il nome di Impastato sulla scheda elettorale e venne eletto consigliere. Le indagini sulla scomparsa sono state lente e difficili: da attentatore a vittima di mafia. Poi, nella figura di Badalamenti fu individuato il mandante dell’omicidio.
Le parole della nipote Luisa
La lotta alla mafia avviata da Impastato è andata avanti grazie a sua madre Felicia (scomparsa nel 2004) e suo fratello Giovanni. Per ricordare il suo impegno – pagato con un prezzo altissimo -, la famiglia ha fondato “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” nel luogo dove hanno vissuto. A tenere le redini della onlus è la nipote Luisa, nata 9 anni dopo l’omicidio. «La storia di Peppino ha sempre fatto parte della mia vita, ha influenzato le mie scelte. A parlarmi di lui è stata mia nonna Felicia, più di tutti, non solo come giovane impegnato nelle lotte sociali, anche come figlio. Lei ha voluto che la casa rimanesse aperta, per far conoscere a tutti la sua storia», ci ha raccontato. L’associazione – che vanta numerosi referenti nazionali – da anni organizza iniziative a Cinisi e in Italia, per diffondere i valori che hanno animato la vita di Impastato: «Ha due anime – ha spiegato Luisa -. Gestisce la casa per chi viene a trovarci e a conoscere Peppino, e ha anche lo scopo di tramandare questa testimonianza. Abbiamo ricevuto migliaia di visitatori, soprattutto studenti». Tanto è stato fatto per combattere la mafia ma tanto c’è da fare. Luisa lo ha sottolineato: «La magistratura e i movimenti hanno fatto passi avanti, ma è rischioso considerare la mafia un fenomeno non prioritario perché esiste, con altra forma». Dopo due anni di assenza, il 9 maggio la manifestazione in memoria del giornalista torna tra le vie del Paese, con il corteo storico da Terrasini a Cinisi, per percorrere la stessa strada che Peppino avrebbe percorso quell’ultima volta di 44 anni fa.
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