Si chiamano novel food, e sono considerati i cibi del futuro. Tra questi, la carne prodotta in laboratorio potrebbe veramente dare una svolta alla carenza di alimenti nel mondo. Ma il prezzo di produzione rimane ancora un’incognita
Immaginate solo per un momento di poter salvare il mondo con un chicken nugget, una crocchetta di pollo: semplicemente mangiandola. I denti affonderebbero in una tenera carne, ma nessun animale avrebbe perso la vita per quel pasto. Perché quella crocchetta verrebbe da un laboratorio e non da un allevamento. Immaginate poi che all’improvviso ci sia abbastanza carne prodotta in laboratorio per nutrire tutto il mondo. La lotta alla fame sarebbe una cosa del passato. I terreni ora utilizzati per coltivare mais destinato all’alimentazione degli animali, potrebbero essere riconvertiti in foreste che assorbono CO2 dall’atmosfera, l’allevamento industriale di bestiame non sarebbe più necessario. A dire il vero, soluzioni che sembrano così semplici dovrebbero essere considerate con molta cautela. Eppure, c’è un luogo in cui questa utopia sembra ormai vicinissima. Un luogo dove si può assaggiare la carne creata in laboratorio, crocchette di pollo che non provengono dall’uccisione di animali. Quel posto è Singapore. La “carne pulita”, ottenuta senza macellazione animale, è prodotta da una startup di San Francisco, Eat Just, che prima di ottenere il via libera ha dovuto sottoporre i suoi prodotti alle autorità regolatrici di Singapore e dimostrarne l’assoluta sicurezza. Ma come si ottiene il pollo di laboratorio? Il procedimento per ottenere carne coltivata generalmente si compone di quattro fasi e comincia con la ricerca delle cellule migliori di mucche e polli più adatti al processo, che vengono estratte senza causare alcun dolore all’animale. Le cellule prelevate dai tessuti muscolari e dal grasso vengono studiate e inserite all’interno di un bioreattore, una sorta di incubatrice, dove possono continuare a riprodursi all’infinito. Qui vengono alimentate con gli stessi nutrienti di cui si ciberebbe l’animale, come amminoacidi, grassi e vitamine, e lasciate crescere e dividere. Il tutto senza ricorrere a ormoni o antibiotici. Il processo dura di norma dalle quattro alle sei settimane. La Singapore Food Agency include la “carne coltivata in condizioni controllate” tra i novel food, etichetta che descrive cibi che non hanno una storia significativa di consumo o che sono ottenuti con metodologie inedite, come alcuni tipi di alghe e di funghi e – naturalmente – gli insetti. Un altro aspetto potenzialmente rivoluzionario è l’impatto sulla nostra salute. Ormai sappiamo tutti che la carne non è esattamente il cibo migliore per la nostra salute. La ricerca evidenzia come un suo consumo regolare, possa esporci ad un rischio più elevato di malattie cardiache, diabete e ad alcuni tipi di cancro. Ma in che modo la carne coltivata in laboratorio potrebbe essere migliore per la nostra salute rispetto alla carne tradizionale? Niente grassi saturi, niente antibiotici, nessun ormone della crescita: la carne coltivata sembra avere molti benefici. Tra dieci o vent’anni potremmo averla sugli scaffali dei nostri supermercati, e con un contenuto ridotto di ferro eme. È la prima volta nella storia che un Paese permette la commercializzazione di carne coltivata o cultured meat, una scelta che potrebbe diventare sempre più diffusa e rappresentare un punto virtuoso di non ritorno. La scelta di produrre e vendere la carne a Singapore del resto non è casuale, dato che si tratta di una città-stato molto popolosa (5,7 milioni di abitanti) ma priva di agricoltura e che produce solo il 10% del cibo che consuma. Il prezzo? Ancora non è dato saperlo, ma una cosa è certa: finora il maggior ostacolo alla diffusione della carne coltivata in vitro è stato il costo elevato delle sostanze usate per far moltiplicare le cellule animali. Ma l’azienda ha fatto sapere di aver fatto progressi anche per rendere più accessibili i suoi nuggets. Probabilmente è solo questione di tempo perché questa rivoluzionaria novità compaia anche sulle nostre tavole.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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