La rete di parenti, amici, conoscenti e colleghi di lavoro ha creato negli ultimi dieci anni il 56% dell’occupazione complessiva. Circa 4,8 milioni di posti di lavoro. L’autocandidatura è il canale cresciuto di più, anche grazie ai social. Mentre concorsi pubblici e Centri per l’impiego contano sempre di meno.
“Chi trova un amico trova un lavoro”. Lo dimostra una recente indagine dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) condotta su un campione di 45mila persone fra 18 e 74 anni. Negli ultimi dieci anni, infatti, quasi un lavoratore su quattro (23%) ha trovato occupazione tramite amici, parenti o conoscenti. Il 9% attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo. In tutto, tra il 2011 e il 2021 i canali informali di ricerca hanno prodotto il 56% dell’occupazione. Si tratta di circa 4,8 milioni di posti di lavoro.
L’autocandidatura è il canale cresciuto di più. Flop di concorsi e Centri per l’impiego pubblici
Fra i canali di ricerca di lavoro, quello cresciuto maggiormente nei dieci anni presi in considerazione dall’indagine è l’autocandidatura. Complice il crescente utilizzo dei social media per la ricerca di occupazione, l’incidenza dell’autocandidatura nel trovare un posto di lavoro è passata dal 13% al 18%. Tra i canali informali prevalgono, come abbiamo detto, la “raccomandazione” di amici e parenti e le conoscenze in ambiente lavorativo. Tra i canali formali si registra, all’opposto, una significativa riduzione del ruolo dei concorsi pubblici. Hanno contato solo per il 10% di chi ha trovato lavoro dopo il 2011, con una riduzione di 7 punti percentuali rispetto al periodo precedente.
L’intermediazione dei Centri per l’impiego pubblici (Cpi) si è mantenuta costante, ma comunque inferiore al 5%. Il 32% di chi trova impiego attraverso i servizi pubblici di intermediazione ha il diploma di scuola media inferiore. In media, la retribuzione delle offerte di lavoro dei Cpi è di 23.300 euro lordi all’anno; contro i 35.000 di chi ha vinto un concorso pubblico o i 32.600 di chi ha trovato lavoro nell’ambiente professionale.
Sfiora il 5%, ma è in aumento, il ricorso ai placement office e job center di scuole e università; così come sale sopra questa soglia l’intermediazione delle agenzie per il lavoro private.
Oggi il lavoro si cerca online e sui social
Il digitale è oggi il vero protagonista della ricerca di lavoro. Nel 2000 il 25% degli occupati dichiarava di aver fatto ricorso a Internet, quindi a e-mail, siti, social, durante la fase di ricerca di lavoro. Questa percentuale è salita al 50% nel 2010 e al 75% nel 2021, con punte di oltre l’80% per chi ha un diploma o la laurea. “Sebbene solo il 2% degli occupati dichiari di avere trovato lavoro tramite app o social network, tuttavia, l’intermediazione digitale, se non adeguatamente regolata, rischia di alimentare ulteriormente l’informalità”, osserva Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp.
I giovani si autocandidano, gli anziani contano sull’esperienza
Sono i più giovani ad essere più intraprendenti ricorrendo spesso all’autocandidatura. I lavoratori più anziani hanno trovato lavoro mettendo a frutto la propria esperienza e, dunque, affidandosi maggiormente all’ambiente lavorativo e professionale. In generale, il ricorso ai canali informali prevale in tutte le fasce di età con un’eccezione. Nella classe 50-64 anni sono i concorsi pubblici il primo canale dichiarato di impiego. Secondo l’Inapp, esiste “un vero e proprio divario generazionale nell’uso e successo di questo canale”. Divario che dipende dal blocco del ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni e dalla spending review, “con ripercussioni anche sulla età media del personale del settore pubblico”.
Dai canali informali il 60% dei posti di lavoro delle piccole imprese e più del 55% di contratti a tempo indeterminato
Sono soprattutto le piccole imprese private (fino a 10 addetti, pari al 40% dell’occupazione del settore privato) a generare posti di lavoro attraverso l’intermediazione informale: oltre il 60%. Il settore dei servizi è quello meno esposto all’informalità, mentre commercio, costruzioni e agricoltura impiegano oltre il 60% degli occupati con canali informali.
In generale, i canali formali conducono maggiormente a contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato (62%) rispetto a quelli informali (53%); in entrambi i casi, anche a circa il 30% di soluzioni contrattuali atipiche come il lavoro dipendente a termine e il falso lavoro autonomo. Il “canale amici e parenti” predomina soprattutto fra persone con livelli medio-bassi di istruzione e conduce nel 55% dei casi ad impieghi a tempo indeterminato; nel 32% a impieghi non standard. Invece, i contatti nell’ambiente lavorativo e professionale offrono il 64% dei contratti subordinati a tempo indeterminato e il 16% di lavoro non standard.
La rete di amici a parenti genera uno squilibrio di competenze
Ancora, i canali formali inseriscono il lavoratore in profili professionali in linea con il proprio percorso di studi in più dell’80% dei casi. Questo soprattutto quando si entra tramite concorso pubblico o per l’intermediazione dei servizi di orientamento di scuole e università. Al contrario, la rete di conoscenze genera percentuali molto elevate di mismatch, ovvero di incongruenza fra titolo di studio e profilo professionale: solo circa il 54% degli occupati ritiene utile il titolo di studio posseduto per il lavoro trovato. I lavoratori autonomi sono un caso a parte: ritengono poco utile il titolo di studio posseduto ma, di contro, mostrano la quota più elevata di adeguatezza delle proprie abilità lavorative.
“Le persone che hanno trovato una occupazione negli ultimi dieci anni si trovano generalmente in un mercato del lavoro peggiore – spiegano i ricercatori Inapp -, caratterizzato da impieghi più precari e con retribuzioni più basse, indipendentemente dalle modalità di ricerca utilizzata”. In questo contesto, i canali dei concorsi pubblici, dell’ambiente professionale e dell’avvio di un’attività autonoma garantiscono le occupazioni più stabili e meglio retribuite.
Quattro persone su 10 e 1 giovane su 2 rifiutano l’offerta per condizioni inadeguate o “scadenti”
Nell’ultima parte dell’indagine, l’Inapp ha intervistato chi, nel periodo marzo-luglio 2021, era ancora in cerca di un’occupazione. È emerso che ricorrono ai servizi pubblici e privati per l’impiego soprattutto le persone più mature e con istruzione più bassa. Una quota pari all’11% ha ricevuto un’offerta di lavoro e circa 4 individui su 10 pensano di accettare la proposta ricevuta. Fra coloro che rifiutano, il 40% giudica le proposte contrattuali inadeguate; il 15% le retribuzioni troppo basse; il 19% l’orario di lavoro eccedente rispetto alle disponibilità; il 12% non è disposto a trasferirsi; infine, un altro 12% rifiuta lavori in nero o irregolari.
Fra le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro, i giovani segnalano in particolare le offerte scadenti (52%). Poi la mancanza di servizi di inserimento adeguati (42%); l’inadeguatezza per il lavoro (33%); sotto-inquadramento o mansioni modeste (37%).
Per riattivare l’ascensore sociale occorre agire anche sull’intermediazione di lavoro
“La prevalenza dell’accesso all’occupazione tramite i canali informali rappresenta ormai un tratto strutturale del mercato del lavoro italiano”, spiega Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp. Un tratto che genera “distorsioni rilevanti sulla qualità dell’allocazione delle risorse umane. I dati mostrano che i canali formali (a parte i concorsi pubblici, ci si riferisce prevalentemente ai centri per l’impiego) intermediano le posizioni lavorative meno retribuite; prevalentemente non standard e caratterizzate da bassi livelli di istruzione. Chiudendo di fatto i canali formali di accesso pubblico alle posizioni migliori si restringe il campo della contendibilità. E si riduce l’area di scelta per gli stessi datori di lavoro, compromettendo spesso la valorizzazione del merito e il funzionamento del cosiddetto ‘ascensore sociale’”.
Secondo l’Inapp serve “un piano di rafforzamento dei centri per l’impiego che superi il limite di un mero incremento numerico del personale; con interventi radicali sul piano della chiarezza delle funzioni da svolgere, delle competenze degli addetti e della efficienza organizzativa. Per un miglioramento complessivo del funzionamento del mercato del lavoro i centri per l’impiego devono essere potenziati anche nella loro interconnessione con le imprese; i servizi dell’orientamento; i servizi formativi; gli altri organismi operanti nell’intermediazione; con tutti gli altri strumenti e soggetti delle politiche del lavoro. Ovvero, ai centri per l’impiego bisogna attribuire un ruolo attivo nel mercato del lavoro e offrire le condizioni per poterlo svolgere”.
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