Le previsioni per il futuro annunciano una graduale scomparsa dei ghiacciai. Una situazione che comporterebbe conseguenze devastanti non solo a livello ambientale, ma anche sociale.
La superficie dei ghiacciai italiani si è ridotta del 30%. Le previsioni per il futuro ne annunciano la graduale scomparsa, con conseguenze che sarebbero devastanti sia a livello ambientale che sociale. Dall’Antartide alle Alpi, il cambiamento climatico non conosce confini e non risparmia nessuno, tantomeno il nostro Paese. Negli ultimi cinquant’anni i ghiacciai italiani hanno perso il 30% della loro superficie, riducendosi da 527 a 370 chilometri quadrati. Lo rivelano, con la drammatica potenza evocatrice dei numeri, i dati del nuovo Catasto dei ghiacciai italiani.
I ghiacciai vengono definiti le sentinelle del cambiamento climatico, perché sono i primi testimoni dell’innalzamento della temperatura e l’effetto è immediato, tant’è che le previsioni non promettono nulla di buono. I modelli climatici ci dicono che, da qui alla fine del secolo, la quasi totalità dei ghiacciai al di sotto dei 3.600 metri nell’arco alpino andrà a scomparire. Intanto, però, dalle vette della Valle d’Aosta sono già scomparsi ben 32 ghiacciai. Secondo il documento elaborato dalla Cabina di Regia dei Ghiacciai Valdostani, in 22 anni il numero dei ghiacciai si è ridotto da 216 a 184, con una superficie diminuita del 22%. Un dramma. Stessa sorte per il ghiacciaio più esteso d’Italia, l’Adamello. Qui, ogni anno, spariscono 14 milioni di metri cubi di acqua, pari a 5.600 piscine olimpioniche.
«Al posto del mare di ghiaccio ora c’è un deserto di sassi e rocce», commentava Legambiente in occasione della presentazione dei risultati dell’ultimo monitoraggio realizzato dalla “Carovana dei ghiacciai”, la campagna promossa da Legambiente con il supporto del Comitato Glaciologico Italiano (CGI), sulla generale regressione dei fronti glaciali del Monte Rosa: Bors, Locce, Piode e Sesia-Vigne, uno dei gruppi montuosi con le vette più alte d’Italia, dove stanno aumentando in modo consistente gli affioramenti del substrato roccioso. E ancora, i ghiacciai del Gran Paradiso hanno perso circa il 65%, in Alto Adige 168 ghiacciai si sono frammentati in 540 unità distinte. In Friuli Venezia Giulia, il ghiacciaio orientale del Canin oggi ha uno spessore medio di 11,7 metri, circa 150 anni fa superava i 90. La fotografia scattata dai monitoraggi è una specie di bollettino di guerra.
Le zone alpine sono le prime a risentire dell’effetto della crisi climatica, si riscaldano più velocemente generando una sorta di circolo vizioso: le temperature più alte fanno sciogliere ghiaccio e neve, facendo diminuire l’effetto albedo, cioè la loro capacità di riflettere i raggi solari nell’atmosfera e mantenere la Terra più fredda.
Del resto, basta fare una passeggiata in montagna per rendersi conto di quanto si fonda molta più neve in estate, di quanta se ne accumuli durante il periodo invernale. È quello che viene definito il bilancio di massa di un ghiacciaio, un bilancio che, a causa dell’aumento della temperatura, è sempre più in negativo.
Se poi si pensa che il problema riguardi solo l’arco alpino, si commette un grande errore. Le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai riguardano tutti e avranno anche un impatto sulla risorsa acqua, intesa sia come acqua potabile che come risorsa energetica, perché alcuni bacini delle Alpi sono alimentati dall’acqua che arriva dai ghiacciai. Le Alpi sono la riserva d’acqua dell’Europa intera e alimentano i più importanti fiumi del continente.
Negli ultimi mesi, abbiamo visto il fiume Po patire la più grave siccità invernale degli ultimi trent’anni. Il Po è il più grande fiume italiano, con i suoi 652 chilometri attraversa sette regioni, con sei milioni di abitanti. La sua secca minaccia fino al 50% della produzione agricola e zootecnica del Bacino padano, e lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe coinvolgere anche famiglie e industrie dell’area, perché l’acqua prodotta dalla fusione della neve e dei ghiacci è indispensabile quando d’inverno le piogge sono scarse.
Il problema è che in futuro bisognerà fare i conti con siccità sempre più severe. Secondo alcune stime, entro il 2050, in estate, le portate dei fiumi, alimentate dalle acque provenienti dalle Alpi, potrebbero dimezzarsi provocando un impatto ambientale, ma anche sociale, enorme.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
© Riproduzione riservata