Mi scrive una lettrice: «Mi collego al suo articolo Una generazione fortunata, per segnalare una mia iniziativa per la realizzazione di una cittadella per anziani autosufficienti mediante la riqualificazione di una grande corte agricola nel crocevia fra Mantova, Verona e Peschiera. Ho 61 anni fra tre giorni, e sto pensando da tempo al terzo tempo». Firmato: Rosanna M.
Ecco, mi sento di ringraziarti, cara Rosanna, a nome di tutte le donne singole che vedono avvicinarsi l’età difficile e non vogliono pesare su nessuno.
A nome di tutte le donne accoppiate che vedono l’invecchiare in coppia come una sorta di declino allo specchio e ne hanno paura, ma non osano dirlo. A nome di tutti gli uomini soli (sono molti meno, lo so, però esistono) che non hanno voglia di sposarsi di nuovo (i vedovi) o di malavoglia (gli scapoli) soltanto perché da soli non sono in grado di prepararsi un pasto caldo quando andare in trattoria diventerà un problema.
Ti ringrazio a nome di tutte le donne e tutti gli uomini che, dopo una vita piena e attiva, hanno paura della solitudine, del vuoto e guardano il telefono che non squilla più con un senso di fine dei giochi, fine della ricreazione, inizio del silenzio. Ti ringrazio a nome di tutti i sessantenni e le sessantenni che pensano al futuro con preoccupazione, con angoscia, con proiezioni negative. Ti ringrazio perché hai pensato ad un luogo dove abitare insieme. Ad abitare insieme ma ciascuno con un suo spazio, perché siamo troppo vecchi per stare tutti ammucchiati come facevamo da ragazzi (io, nei primi anni Settanta, ho abitato in una comune. Eravamo in sette), ma del calore di una piccola comunità abbiamo bisogno, forse più di quanto ne avessimo allora, quando il futuro pareva illimitato ed eravamo ancora abbastanza informi da poter aderire al corpo e all’anima dell’altro, degli altri.
Riqualificare una corte contadina vuol dire riprodurre un paese. Un paese dove abitare ciascuno per conto suo, ma con la possibilità di vivere uno spazio comune, di intrecciare una vita relazionale basata sulla quotidianità, sulla contiguità, non una vita relazionale da conquistare tutti i giorni, con il rischio di essere rifiutati o tenuti ai margini da tutti quelli, e sono tanti, che frequentano gli altri esseri umani per opportunismo e non per curiosità o per affetto. L’idea della corte è bellissima.
È bellissimo immaginare spazi comuni in cui vivere il terzo, ma soprattutto il quarto tempo, non soltanto con serenità, ma addirittura con allegria. Mi piacerebbe attrezzare la corte come un salotto per l’estate, come una piazza per tutte le stagioni, dove si sta, ci si incontra, si discute. Si ride, si mette in comune il proprio passato. Sulla corte affacciano tutte le cascine, le case. C’è una grande cucina comune, ma ci sono anche piccole cucine negli appartamenti, perché puoi anche avere voglia di mangiare da sola o con tua nipote che è venuta a trovarti.
Questa comune di persone che hanno vissuto è il contrario della triste casa di riposo, vissuta dai più come l’ultimo domicilio prima del cimitero. È un rilancio, una ripartenza, uno scossone alle abitudini, una sfida ai luoghi comuni sulla vecchiaia. È anche un rischio, naturalmente. Io immagino che, nella corte dei nostri sogni, ci siano un centinaio di persone, divise fra i vari blocchi di casette. Ci possono essere delle amiche e degli amici che hai coinvolto nell’esperienza, ma anche degli sconosciuti e delle sconosciute.
Qualcuno può non esserti immediatamente simpatico. Bisogna accettarlo, accettarla, ugualmente. Fa parte degli esercizi necessari per mantenere la mente aperta. E guardate che è quello il vero elisir di lunga vita: restare curiosi, disponibili, tolleranti. E tu, cara Rosanna, tienimi informata sugli sviluppi del tuo progetto bellissimo.
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