Lavorano nelle nostre case assistendo i nostri anziani. Spesso, senza tutele e senza diritti. La pandemia ci ha chiarito quanto siano importanti, ma quanto siamo disposti a investire sul loro lavoro?
La popolazione invecchia, i giovani sono sempre più propensi a emigrare nella necessità di trovare lavoro. Le culle restano vuote, come mai dal Dopoguerra a oggi.
In questo quadro, fragile e complesso, a complicare la prospettiva, una pandemia iniziata oltre un anno e mezzo fa e che, ancora, può dirsi tutto tranne che archiviata. Ma è appunto in questo contesto che si muove il lavoro di un autentico esercito di lavoratori – soprattutto donne – che è stato al fianco delle nostre famiglie, specie in un frangente delicato come quello attraversato dal Covid: parliamo delle assistenti familiari, le cosiddette badanti.
Stando alle ultime rilevazioni Inps, che tengono conto dell’intero comparto del lavoro domestico – comprese colf, babysitter e appunto badanti – sono circa 2 milioni le famiglie che si avvalgono del loro aiuto nelle case. Lavoratori che, per l’Inps, godono di un regolare contratto solamente in 900mila unità.
«Quello che l’Istat vede è la punta dell’iceberg – dice a 50&Più l’avvocato Giancarlo Germani, legale esperto in tema di badanti. A nostro avviso le badanti sono circa due milioni. È un mondo silenzioso, come è evidente, perché molte sono in nero. Ma attenzione: se vanno via le badanti, restiamo senza welfare perché, a parte le RSA, sono loro ad assicurare un welfare dignitoso ai nostri anziani, consentendo loro di rimanere a casa e conservando una vita dignitosa, di relazioni, conducendo un’esistenza quanto più normale fino all’ultimo giorno».
In questo ultimo periodo si parla molto di badanti, anche per ragioni legate al virus. L’obbligo di Green Pass impone loro l’adesione alla pur doverosa campagna vaccinale, ma a fronte – spesso – di zero diritti. È pur vero che, proprio grazie al Covid, c’è stata una emersione del sommerso ma, in termini di regolarizzazione delle loro posizioni lavorative, c’è ancora molto da fare.
L’Inps stessa parla di “effetto congiunto del lockdown e della sanatoria per gli stranieri”, che segnala un +7,5% rispetto al 2019 di assunzioni regolari. Ma, ad oggi, quanti sono disposti a mettere in regola le badanti che lavorano nelle loro case?
«Tolta la difficoltà di contratti e assunzioni, per me fare la badante è stata una scelta felice». A dircelo è Nicoleta Sprinceana, una lavoratrice di 49 anni. Viene dalla Romania e dal 2003 presta servizio come assistente familiare. «Il rapporto che si crea tra assistito e persona che assiste è talmente ricco di insegnamenti che credo non ci sia nulla di paragonabile. Un po’ alla stregua di un medico che si prende cura a lungo di un paziente con una patologia cronica. Migliorare la qualità di vita degli ultimi anni di una persona è una grossa realizzazione».
Eppure è lei stessa a illustrarci un quadro quanto più completo, seppure a tinte fosche, di un mondo del lavoro dai contorni spesso indefiniti: un’area grigia che di fatto circonda il lavoro nero. «Anche chi viene assunto, non viene quasi mai dichiarato per tutte le ore che realmente svolge. Pur comprendendo le necessità delle famiglie, non si possono sempre sacrificare paga e orari delle badanti».
E la sua è una storia di estrema consapevolezza: quella di una donna con una storia affatto semplice. Una donna istruita. «Sono una giurista. Mi sono laureata in Legge a Bucarest. La mia era una professione simile a quella dell’avvocato, ma con uno statuto diverso. L’avvocato è un libero professionista mentre il giurista è sottoposto a contratto e rappresenta un unico interesse». Eppure, come racconta lei stessa, molteplici fattori finiscono col portarla in Italia. «Dopo due anni di lutti, in cui ho perso affetti cari, ho preso le ferie accumulate per partire e avere una pausa». Poi, però, da allora, è rimasta in Italia. Inizia a fare la badante perché trova lavoro facilmente. «Il caso ha voluto che il mio primo impiego a Roma fosse proprio in uno studio legale dove, però, non potevano farmi ottenere i documenti perché la sanatoria non avrebbe regolarizzato la posizione di segretaria in uno studio di avvocati. L’unico lavoro grazie al quale avrei potuto avere anche il permesso di soggiorno era, appunto, quello di badante».
Ci racconta di aver optato per il lavoro con gli anziani perché reduce da una lunga esperienza di volontariato con i minori, uno dei quali – purtroppo con problemi gravi di salute – dopo anni è venuto a mancare. Un dolore così profondo per Nicoleta da impedirle di lavorare ancora con i più piccoli. «Volevo invece avvicinarmi al mondo della terza età essendo io cresciuta senza l’affetto dei nonni, che sono morti molto presto, mentre gli altri due erano piuttosto distanti».
Ma fare la volontaria non era cosa fattibile: «Non avendo un reddito abbastanza alto da potermi permettere di fare volontariato con gli anziani, ho iniziato a fare la badante».
Secondo l’avvocato Giancarlo Germani: «Bisogna semplificare e fare in modo che ogni persona anziana che si avvale del lavoro di una badante possa fare una semplice dichiarazione all’Inps e la assuma. Anche perché esiste il Contratto Collettivo del Lavoro Domestico, quindi una volta che si comprende quante ore lavora a settimana, che tipo di prestazione offre, è facile considerare l’importo del compenso corretto per la badante».
Ed è lui a spiegarci come per le lavoratrici rumene sia più facile, in quanto comunitarie; ma se un anziano conosce un’assistente familiare ucraina con la quale si trova bene e volesse pure averla come assistente familiare, la procedura si fa piuttosto complessa perché ci si trova di fronte a un bivio: o il lavoro nero od occorre rimandarla in Ucraina, chiamarla e poi aspettare le quote di ingresso nel nostro Paese. «Capite che è un percorso farraginoso anche nel caso si avessero le migliori intenzioni».
Ma come è stato, per chi ha assistito un anziano, lavorare in casa durante la pandemia? «Difficile – confessa Nicoleta Sprinceana -. Non si sapeva molto ed eravamo preoccupate più per loro che per noi stesse. Non potevi che domandarti: “Se io sono un’asintomatica e la persona che assisto se ne va per questa ragione, come si sopravvive a un’esperienza del genere?”. Io non uscivo più di casa; ho rinunciato ai mezzi pubblici nel timore di portare il contagio».
Con lei e con l’avvocato Germani parliamo anche del caso che, già da un paio d’anni, è esploso in Romania: quello delle badanti che, di ritorno dal lavoro in Italia, finiscono negli ospedali psichiatrici. Si chiama “Sindrome Italia” ed è lo spettro che aleggia su molte di loro. Germani ci ricorda: «Colpisce persone che magari hanno lavorato vent’anni in Italia, qui sono state sottoposte a pressioni e vessazioni e, col tempo, hanno accumulato forti problemi psicologici». È anche per questo che, parallelamente al suo lavoro, Nicoleta Sprinceana sta promuovendo un’opera di sensibilizzazione sul lavoro delle badanti in Italia. “I tuoi occhi e le tue mani” è il nome della campagna che ha ideato con lo scopo di abbattere il disprezzo verso le badanti. All’interno di essa, si parla chiaramente anche della Sindrome Italia: «Un burnout – dice Nicoleta – certificato dagli psicologi e che, per molte, è senza ritorno. E una delle ragioni che porta a questo stato psicologico è appunto il disprezzo, di cui forse troppo poco si sa».
«È un settore che andrà presto in emergenza», riflette perciò l’avvocato Germani, mentre Nicoleta aggiunge: «Andrebbe creato un registro ufficiale delle badanti nonché istituito uno strumento di controllo sulla regolarità delle assunzioni».
Di certo, quella del lavoro domestico è una situazione che va regolamentata. «Quando il problema sarà conclamato – conclude l’avvocato Germani -, dovremo agire d’urgenza. Abbiamo a mio avviso ancora due, tre anni – non di più – perché temo che la comunità rumena, come già avvenuto con quella polacca, possa fare un passo indietro. Alla fine, se non si creano i presupposti per far vivere regolarmente qui queste persone, le si tengono sempre in uno stato di precarietà e di pseudo illegalità, si rischia che mollino e tornino nel loro Paese. Così, noi ci ritroveremmo con milioni di anziani dei quali non sapremmo come prenderci cura».
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