Nella formazione dei bambini sembrano permanere stereotipi e pregiudizi di natura patriarcale. Anche i mezzi di comunicazione e, in parte, la scuola sono veicolo di un messaggio lontano dalla parità di genere
Affrancarsi dagli stereotipi di genere è un lavoro lungo e complesso che parte sicuramente dall’educazione. Ci siamo perciò chiesti se esistano strategie per una educazione libera dalla modalità patriarcale di allevare figli maschi e, per tale ragione, ci siamo rivolti a una psicologa e psicoterapeuta come Mirta Mattina, coordinatrice del gruppo di lavoro su psicologia e salute perinatale dell’Ordine degli Psicologi del Lazio.
Quanto e come differisce l’approccio educativo del presente rispetto a quello delle famiglie di un tempo?
Al di là della variabilità individuale – che ovviamente è ampia -, da un punto di vista generale, possiamo dire che negli ultimi cinquant’anni c’è stata senz’altro un’evoluzione nell’idea di educazione, di relazione all’interno delle famiglie, frutto dei movimenti degli anni Settanta che hanno portato un grande cambiamento culturale nella nostra società. In particolare, assistiamo a uno spostamento da un modello più autoritario – in cui il genitore stabiliva in modo pressoché totale quali fossero le regole di comportamento da seguire – verso uno stile più partecipativo, più autorevole e democratico, con degli scivolamenti verso uno stile più permissivo. Positivo che i genitori oggi si interroghino molto sul loro agire come genitori – a differenza delle generazioni precedenti – e che cerchino modalità funzionali alla crescita e allo sviluppo dei loro figli; il rischio, però, è che in questa ricerca i genitori si imbattano in tutta una serie di consigli, opinioni, testi, articoli che possono risultare confusivi e un po’ contraddittori. Per cui, è importante che quando i genitori scelgono di riflettere sul proprio modo di agire come genitori facciano riferimento a delle fonti autorevoli.
Esiste ancora un modo di educare per genere?
Purtroppo sì. Permangono in modo forte tutta una serie di stereotipi e di pregiudizi di natura patriarcale che orientano l’educazione dei maschi e delle femmine in modo differente. Questo avviene sia attraverso ciò che i genitori veicolano come messaggi, ma anche attraverso l’esempio: ciò che bambini e bambine, ragazzi e ragazze vedono nella società. Concorrono chiaramente alla costruzione di questo immaginario anche la società tutta e la scuola. Ad esempio, è un dato che la gran parte del lavoro domestico e di cura sia ancora in capo alle donne, all’interno delle famiglie, e questo viene visto e interiorizzato dai più piccoli come conferma degli stereotipi di genere. Oggi, è ancora abbastanza comune veicolare messaggi ai maschi per cui devono essere forti, coraggiosi, non piangere, non fare “le femminucce” – come fosse un dispregiativo – e, al contrario, alle bambine che devono essere composte, assennate, amorevoli, accoglienti, educate. Tutto ciò si riflette nella crescita delle persone. Ciò incide su rendimento scolastico, libertà, autostima che persone in crescita possono sperimentare anche rispetto proprio al genere. C’è inoltre un’idea molto radicata nella nostra società che andrebbe completamente rivista.
Quale idea?
Quella che il desiderio sessuale maschile sia qualcosa di incontenibile, di naturalmente aggressivo e di incontrollabile per cui, di solito, le femmine vengono educate a evitare di suscitare il desiderio maschile, quando invece bisognerebbe dire loro che possono muoversi come vogliono, vestirsi come vogliono, comportarsi come vogliono, fare gli sport che preferiscono. Al contrario, bisognerebbe educare i maschi al rispetto delle altre e quindi insegnare loro che il desiderio è una cosa assolutamente naturale, bella, ma che non può essere agito senza il rispetto dell’altro. Per cui, approcciare una ragazza che ci piace non significa mancarle di rispetto, non significa essere autorizzati a diventare insistenti o addirittura a proporre degli approcci fisici senza un chiaro consenso da parte dell’altra persona. Dire che un no è un no è molto importante mentre, molto spesso, ci sono dei luoghi comuni che sostengono che le donne dicono no quando in realtà vorrebbero dire sì. Tutto ciò non è vero e l’idea che vincere le resistenze di una donna sia in qualche modo un compito maschile è ancora troppo presente.
Allora, come educare in maniera paritaria in modo da consentire di crescere figli maschi non subordinati al modello patriarcale?
Nonostante il movimento di rivoluzione culturale cui abbiamo assistito, cui stiamo assistendo negli ultimi decenni, purtroppo la nostra società ha una piena e totale impostazione patriarcale e non ne sono esenti modelli veicolati dai media o dai social, che rischiano di riprodurre e perpetuare questi stereotipi di genere di cui abbiamo già parlato. Sarebbe molto importante riflettere con bambini e bambine, ragazzi e ragazze sulla disparità di genere che si esprime nella nostra società attraverso il concetto del soffitto di cristallo, cioè quell’idea per la quale sembra davvero impossibile per le donne arrivare ai vertici, a posizioni apicali sia in aziende private sia in organizzazioni pubbliche. E quindi, occorrerebbe parlare con loro anche di Gap salariale. Bisogna portare all’attenzione dei giovani come le donne guadagnino meno a parità di condizione lavorativa e siano peraltro gravate da maggiore lavoro domestico e di cura. Anche i social e i media potrebbero avere un ruolo determinante, mentre invece si assiste quasi a un’involuzione rispetto a qualche decennio fa. Ricordo che quando io ero bambina – negli anni Settanta – le pubblicità dei giocattoli non erano così stereotipate per genere. La pubblicità, ad esempio, delle costruzioni, aveva una bambina vestita con una salopette di jeans che giocava con i mattoncini di diversi colori; oggi, invece, abbiamo costruzioni per maschi con mattoncini blu con cui si realizzano draghi, soldatini e pompieri, e costruzioni per bambine rosa, leziose con cui creare principesse e unicorni. Anche i giocattoli potrebbero avere un ruolo importante: non a caso, ci sono dei movimenti che chiedono alle società di cambiare atteggiamento perché questa targetizzazione spinta che ci dice che esistono giochi da maschio e giochi da femmine è davvero dannosa, soprattutto in un’età così precoce.
La scuola riesce oggi ad offrire un modello paritario di crescita per i più giovani?
La scuola ha un ruolo molto importante perché, oltre alla famiglia, è la principale agenzia educativa per la crescita delle giovani generazioni. L’educazione, la didattica, dovrebbero essere riviste in un’ottica di genere. Anche sul linguaggio bisognerebbe lavorare. L’evoluzione dell’uomo – tema sul quale ci si confronta già dalla terza elementare, quando si approccia la storia dell’umanità -, invece che chiamarla “dell’uomo”, potrebbe essere definita dell’umanità, degli esseri umani. Altro esempio sono le immagini presenti nei libri di testo, che spesso ricalcano degli stereotipi, o le frasi in cui bisogna associare soggetto al verbo. Verbi come “stira”, “cucina”, “prepara” prevedono l’abbinamento con un soggetto come la mamma, mentre “lavora”, “sta al computer”, “legge il giornale” si collegano, di solito, al papà. Eppure, ormai, sappiamo da decenni che invenzioni come la scrittura, l’agricoltura, sono principalmente dovute alle donne e questo viene sottaciuto. Del resto, i Gender studies sono poco diffusi all’interno delle università, per cui anche la formazione dei docenti e delle docenti risulta carente da questo punto di vista. Se apriamo un libro di epica o di mitologia, troviamo che i primi miti raccontati come se fossero i più antichi, sono quelli dove un principio trascende esterno al creato – tendenzialmente maschile -, dà ordine al caos, e tutto questo senza raccontare i miti che sono invece precedenti e che parlano di una dea madre che dà origine al mondo. Come anche la presenza di donne, filosofe, scienziate, mediche, guerriere, combattenti, regine che vengono raccontate poco, niente oppure come eccezioni: un piccolo trafiletto a parte nel libro e quindi non inserite all’interno della narrazione della storia. Andrebbe invece raccontato quante donne nella storia dell’arte, della letteratura sono state invisibilizzate e quante abbiano dato alla luce delle opere che hanno dovuto pubblicare sotto pseudonimo maschile, oppure che sono state attribuite a loro parenti maschi. Abbiamo tantissimi esempi in tal senso e la scuola li racconta molto molto poco.
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