Una società consapevole capace di creare confronti e scambi generazionali perché gli anziani possano – sempre di più – essere “collaboratori civici” utili alla collettività nella sua interezza. E gli strumenti per farlo ci sono, parola di Ezio Chiodini.
Le “case di quartiere” come strumento utile a favorire lo scambio generazionale attraverso la professionalità, l’esperienza e la conoscenza all’interno di un contesto sociale che rifiuta la netta separazione tra anziani e giovani. E che guarda all’Europa – spesso – come a un modello. Cosa c’è nello scenario italiano? Come i silver – e quindi centinaia di migliaia di over 65 – possono essere al servizio della comunità? Il vantaggio è a senso unico? Ne abbiamo parlato con il giornalista Ezio Chiodini, autore – tra gli altri – de La proposta dei “collaboratori civici”: i Silver al servizio della comunità, capitolo recentemente pubblicato all’interno del Quaderno di Approfondimento 2022 Silver Economy, una nuova grande economia. Chi sono, cosa fanno e cosa desiderano i Silver italiani. Al lavoro, curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ha collaborato il Centro Informazione e Studi 50&Più.
L’invecchiamento della popolazione e lo sviluppo tecnologico pongono le basi per la costruzione di un nuovo modello sociale. Quali le caratteristiche più evidenti?
Sicuramente l’allungamento della vita media, in considerazione della diminuzione delle nascite. E tenendo conto che – come diceva il professor Francesco Antonini, (il primo ad avere una cattedra di gerontologia al mondo, ndr) ci si può considerare vecchi quando non si è più autosufficienti, oppure se vittime di una grave disfunzione. Resta, tuttavia, un problema socio-culturale. Perché negli ultimi secoli siamo stati abituati a considerare gli anziani da una parte e i giovani dall’altra, abbiamo rotto quel ponte tra generazioni che, invece, è necessario. Sarà importante riconsiderare una società che non faccia questo né altri distinguo, in cui c’è posto per tutti.
Una società eterogenea che non può, quindi, prescindere dalla partecipazione alla comunità e che, sembra evidente, punta sul capitale umano?
Sì. Già Platone parlava di partecipazione alla comunità. Possediamo, in tal senso, un capitale umano notevole. Basti pensare alle decine di migliaia di persone qualificate, professionali, che sono oggi in pensione e che potrebbero essere al servizio della collettività.
Quindi, oltre che di capitale umano possiamo parlare di capitale sociale?
Direi soprattutto sociale. Sono numerosi i modi in cui gli anziani possono essere d’aiuto alla collettività, come già avviene in Francia. Mi vengono in mente gli asili nidi di condominio, ad esempio, che altro non sono se non una eredità del passato, quando si affidavano i bambini ai vicini di casa. Parliamo di persone professionali e competenti che possono rispondere a esigenze di altri. Tutto nasce dalla voglia di partecipare e dalla relazione tra generazioni. In questo ruolo, gli anziani attivi sono fondamentali perché sono numerosi e consapevoli. Abbiamo una risorsa qualificata, con una certa disponibilità economica, pronta a dare una mano.
Le giovani generazioni comprendono, a suo avviso, il potenziale economico e sociale dei silver?
C’è una mancanza di conoscenza e anche di cultura. La scuola non è mai stata molto pedagogica in Italia. Stiamo affrontando il futuro senza gli strumenti per farlo. La comunità va aiutata e ciascun membro deve fare la sua parte.
I silver italiani, rispetto ai “colleghi europei”, hanno una centralità maggiore, minore? Un potenziale da sviluppare?
C’è un potenziale da sviluppare. In Italia non stiamo a buon punto. Abbiamo sempre avuto una cultura a compartimenti stagni che non ingloba ma divide. Infatti, il concetto di partecipazione è un concetto contraffatto.
Cosa c’è nel futuro dei silver?
C’è disponibilità da parte loro a mettersi al servizio della collettività ma, affinché questa si concretizzi, c’è bisogno di iniziative, di organizzazioni. Molti vogliono dare una mano alla comunità, non tanto al singolo, ma alla collettività mettendo a disposizione la propria esperienza e la propria professionalità.
Nel lavoro pubblicato di recente, ha introdotto il concetto di “casa di quartiere”. Ce ne parla?
Un tempo c’erano i circoli di quartiere, i bocciofili dove ci si riuniva per aspetti principalmente ludici. Le “case di quartiere” sono spazi organizzati dove dare e ricevere consigli, informazioni, servizi. Le riporto un esempio. Potrebbe esserci un avvocato in pensione che dispensa un parere, un infermerie che fa una iniezione. E poi, chiaramente anche attività ricreative.
Possiamo immaginare la casa di quartiere anche un luogo deputato per lo scambio intergenerazionale?
Certamente. Perché quello che manca oggi è favorire l’incontro tra generazioni.
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