Nel 1964, venne coniato il termine “Pet Therapy” per descrivere l’uso di animali da compagnia nella cura di malattie psichiatriche. Ma la relazione con i nostri animali porta benefici anche nella vita quotidiana. Ne parliamo con la ricercatrice Marta Borgi
Nel 2009, nelle sale cinematografiche italiane vennero proiettate due storie che affascinarono il pubblico. Entrambe trattavano vicende realmente accadute e, in entrambi i casi, il protagonista era un cane. Il primo, Marley, un labrador color miele che sconvolge la vita di un’allegra famigliola del sud della Florida. Il secondo, Hachiko, un Akita Inu che ogni giorno attende il padrone alla fermata del treno. Due storie diverse che, però, riescono a rendere con facilità l’indissolubile rapporto che si crea tra un animale da compagnia e l’essere umano che se ne prende cura. Un amore che non interessa solo i cani, ma anche i gatti. Per capire la profondità di questa relazione, i benefici che ne derivano e gli effetti anche terapeutici che si possono trarre, abbiamo intervistato la dottoressa Marta Borgi, ricercatrice presso il Centro di Riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute mentale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Dottoressa Borgi, secondo quanto dichiarato da ENPA (Ente Nazionale per la Protezione degli Animali), durante il lockdown molti italiani hanno adottato un animale da compagnia. Quale potrebbe essere la motivazione che ha spinto sempre più famiglie in questa direzione?
Quando prendiamo un cane o un gatto, lo consideriamo a tutti gli effetti parte della famiglia: instauriamo con esso un vero e proprio rapporto sociale che racchiude un’importante funzione di conforto, di amicizia e di supporto. Tre aspetti che in un momento come il lockdown, in cui molti hanno sperimentato situazioni di solitudine, hanno fatto la differenza. Gli animali da compagnia fungono da partner sociale: con loro condividiamo tanti momenti della quotidianità. In più, a differenza di quanto avviene con amici o parenti, il nostro animale è sempre disponibile e, come viene spesso fatto notare, non è mai giudicante nei nostri confronti.
Secondo lei, quindi, ci sono più i benefici o più rischi per un senior che decide di adottare un cane o un gatto?
Sappiamo bene che, purtroppo, nella fase di vita che interessa la terza e la quarta età può capitare che i senior si trovino a vivere situazioni di solitudine e di ritiro sociale. Per questo, come dicevo, adottare un animale può portare dei benefici. In particolare, un cane potrebbe essere la soluzione ideale perché richiede una piccola attività fisica, che è quella della passeggiata, e inoltre funge da “rompighiaccio”. Quando si esce, infatti, è consuetudine che i padroni parlino tra loro. Considerando che essere attivi e continuare ad avere contatti sociali sono attività fondamentali per un sano invecchiamento, avere un cane può fare la differenza. È necessario, però, che avvenga un giusto “match”. Un cane iperattivo potrebbe essere difficile da gestire per una persona che, ad esempio, ha difficoltà nel camminare o nel mantenere l’equilibrio. Non trascuriamo, poi, i benefici per l’animale. Prima di adottare, infatti, una famiglia dovrebbe valutare le esigenze di un cane o un gatto impegnandosi a rispettarle tutte. Anche perché la relazione non funziona se l’animale è frustrato.
Gli animali sono spesso utilizzati per gli IAA (Interventi Assistiti con gli Animali). In Italia ci sono progetti di questo tipo?
In Italia, lo possiamo dire orgogliosamente, abbiamo delle linee guida riconosciute dal Ministero della Salute con cui si tutelano sia la persona coinvolta in questi interventi che gli animali. Ad esempio, possono essere utilizzati solo animali domestici perché hanno vissuto un processo evolutivo tale da permettere loro maggiore confidenza nei nostri confronti, svolgendo così alcuni percorsi educativi con più facilità. Inoltre, queste linee guida hanno permesso la formazione di tantissimi operatori specializzati che sono in grado di riproporre adeguatamente Interventi Assistiti con gli Animali, monitorandone i risultati.
Rispetto a vent’anni fa, c’è stato un inequivocabile cambiamento nel trattamento riservato agli animali da compagnia. Secondo lei, cosa ci ha spinto a riconsiderare i comportamenti nei loro confronti?
Personalmente credo che ci siano due piani su cui analizzare questo cambiamento: quello individuale e quello sociale. Come esperienza individuale, indubbiamente vivere a stretto contatto con gli animali domestici ci ha permesso di capire meglio le loro emozioni e di comprendere i loro comportamenti, sviluppando sentimenti di empatia e di rispetto. A livello sociale, invece, c’è molta più attenzione a una serie di diritti che tendono al rispetto dell’altro e coinvolgono anche il mondo animale. Il movimento animalista in questo è stato molto importante.
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