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Direttrice editoriale 50&Più Anna Maria Melloni
Ogni giorno combattiamo una battaglia contro le discriminazioni: da quelle sessiste a quelle razziste fino ad arrivare a quelle legate all’età e all’aspetto fisico. Ma quante volte, inconsciamente, siamo i primi a usare le parole “sbagliate”?
Silvia ha 34 anni e lavora come impiegata per una compagnia che fornisce energia elettrica. È incinta del suo secondo figlio, al quinto mese di gravidanza, e con enormi sforzi per conciliare lavoro e famiglia riesce a portare avanti gli impegni che si è prefissata. Una donna “con gli attributi” insomma: competente sul lavoro e sempre disponibile ad aiutare colleghi e clienti in cerca di risposte. È anche particolarmente fortunata ad essere sposata con Carlo che si occupa spesso della casa e della cena, senza contare i pomeriggi in cui riesce a portare Luca, il loro primogenito, in piscina. Un vero e proprio “mammo”. Carlo, dal canto suo, lavora come scrittore freelance e sta avendo un notevole successo grazie alla pubblicazione di una sua collana di libri per ragazzi. È spesso impegnato in alcune presentazioni che la casa editrice ha programmato in tutta Italia e quando deve partire Silvia è costretta ad occuparsi di tutto da sola. Ma d’altronde dietro a un grande uomo, c’è sempre una grande donna: non potrebbe certo fare tutto ciò che fa senza Silvia. La coppia di Silvia e Carlo è affiatata, la loro vita coniugale è equilibrata ed entrambi si barcamenano nella gestione della quotidianità come moltissime altre famiglie.
Ma il racconto della loro storia, così come lo abbiamo letto, rivela una serie di strutture che utilizziamo sovrappensiero per rafforzare i concetti che vogliamo esprimere, ma che al tempo stesso sono frutto di stereotipi ed espressione di alcune forme di discriminazione. A partire dalla definizione “donna con gli attributi” quando ci si vuole complimentare con una donna per la sua tempra morale facendo riferimento a qualcosa che appartiene solo alla categoria maschile. Oppure quando si definisce “mammo” un padre che si occupa dei figli, come a sottintendere che la cura della prole sia affare solo delle madri. Ma nel breve racconto qui sopra ci sono due espressioni, forse meno evidenti, ma ugualmente stereotipate: Silvia è “particolarmente fortunata” perché Carlo si occupa della casa, della cena e del figlio; Carlo è il “grande uomo” dietro cui sta la “grande donna”. Perché ci riteniamo fortunate se i nostri compagni o mariti si occupano della casa o della cena? Perché storicamente e culturalmente è un impegno femminile. Perché una grande donna dovrebbe stare “dietro” un grande uomo? Anche in questo caso potremmo ricondurlo a un limite culturale: gli uomini hanno spesso occupato posizioni di rilievo lasciando alle donne i ruoli considerati meno apicali.
Una serie di frasi fatte e stereotipi su cui, negli ultimi anni, si è cercato di sensibilizzare tutte le generazioni, soprattutto quando si tratta di sessismo. Eppure, permangono quelle subdole forme di pensiero parte della nostra cultura e del nostro modo di esprimerci. Quante volte quando il veicolo davanti a noi ci è sembrato troppo lento abbiamo pensato o detto “Il guidatore sarà sicuramente un anziano” oppure a una persona che ci sembra troppo magra abbiamo chiesto “Ma non mangi?”. Fare caso a queste frasi è il primo passo per riconoscere i pensieri che dobbiamo cambiare per arrivare a una società sempre più inclusiva ed equa.
Di Linda Russo
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