«Questo albergo è chiuso. Qui ce n’è un altro chiuso. Qui dietro un altro è chiuso, e siamo al centro di Roma. In questo momento, su 1.200 alberghi, circa 200 sono aperti e operativi. Tutti gli altri, purtroppo, rimarranno chiusi: alcuni apriranno a settembre, altri addirittura a marzo 2021».
A parlarci è Giuseppe Roscioli di Federalberghi: una storia di ospitalità, quella della sua famiglia, iniziata nel 1933 con una pensione che è la prima a Roma con acqua corrente in tutte le stanze. Sono gli anni che precedono la Guerra, gli stessi in cui la sua famiglia rinnova l’albergo così profondamente da stupire gli amici e gli ospiti abituali che lo ribattezzano “Universo”.
Eppure, la crisi del turismo in epoca Covid, ha colpito anche lui che racconta come anche due delle sue strutture oggi siano chiuse: «Abbiamo previsto che, nel 2020, ci sarà un calo del fatturato dell’intero settore alberghiero di oltre il 70% e la cosa più brutta è che il 50% dei nostri lavoratori rischia di perdere il posto».
In attesa dell’alta stagione, con la speranza che qualcosa cambi
Ci muoviamo infatti in una Roma surreale: deserta. E ci sarà da aspettare l’alta stagione sperando che, con settembre, i turisti tornino a farci visita. Quel che è certo è che, a causa, della pandemia, oggi mancano all’appello soprattutto americani, cinesi, russi e arabi. Pochi anche i “comunitari” che, per la prima volta, in questo luglio, hanno pressoché disertato la Capitale.
«A Roma – continua Roscioli – su 100 camere occupate, 70 sono di clienti stranieri e 30 di clientela italiana. Di queste 70, il 50% è extra Shengen e il fatto che il nostro Governo abbia imposto loro un periodo di quarantena all’arrivo, di certo non ci aiuta». Una scelta plausibile, in termini sanitari, ma che ha grosse ripercussione su chi vive anche di turismo. Inasprita ancor di più dal blocco imposto nelle scorse ore a 13 Paesi non comunitari oggi fortemente esposti al contagio da Covid.
Pochi caffè, pochi clienti, pochissimi turisti
«Noi abbiamo 12 persone nel nostro staff – racconta Raimondo Ricci, titolare della storica caffetteria Sant’Eustachio, dietro al Senato -. Quattro lavorano e il resto è rimasto a casa, senza nemmeno aver ricevuto la cassa integrazione. Li ho aiutati dando loro ciò che potevo, ma queste famiglie hanno fame, non sanno come riempire il frigo e qui il lavoro manca».
Quando lo raggiungiamo, qualche cliente lo troviamo ma ci dice: «Del consueto afflusso di turisti non c’è traccia. Ce ne aspettavamo di più. Col primo luglio speravamo si smuovesse qualcosa e invece, purtroppo nulla». Quanti saranno in una giornata? «Cinquanta. Ma, insomma, c’è una bella differenza tra vendere 50 caffè o 3mila».
Una Capitale diventata ormai low cost
Chi invece è riuscito ad approfittare di questa fase così complicata sono proprio i turisti europei che hanno raggiunto la capitale. «Tedeschi, francesi», ci dice un vetturino a bordo della sua botticella vuota. A fine giornata quanto portate a casa? «Venti, trenta euro. Nemmeno ci bastano per coprire le spese».
E la conferma che Roma, in questo momento, sia davvero low cost ce la dà un gruppo di giovani turisti – tutti europei: «Se non fosse stato per il Covid e i prezzi ribassati, una vacanza a Roma, in questo periodo, non ce la saremmo mai potuti permettere».
Dalla ristorazione all’artigianato, il rischio chiusura è sempre più reale
Lo sa bene Luciano Flamini, ristoratore, titolare di “Maccheroni”, nel centro storico della città. «Non ci sono turisti, semplice. Abbiamo perso tutto nel periodo del Covid e adesso lavoriamo al 25-30%. Se continua così, finisce che si chiude».
Acque agitate anche per chi si occupa di commercio nel settore dell’abbigliamento. Entriamo in un negozio, proprio in piazza di Montecitorio. Turisti? «Dal 18, quando abbiamo riaperto, non si è visto quasi nessuno», ammette Maria Rosaria Telli, commessa. «Da sette, otto giorni a questa parte, però, qualcuno si comincia a vedere: francesi e soprattutto tedeschi. In termini di fatturato abbiamo perso molto – tra il 60% e il 70% -, ma confidiamo che le cose cambino».
Chi si mostra invece particolarmente scettica è Rosalina Dallago, artigiana, titolare della bottega “Sciuscià Chic” di Via in Lucina: «Va decisamente male perché il turismo latita. C’è quello italiano, ma non è interessato alla lucidatura delle scarpe di cui invece io mi occupo. Prima i concierge mandavano stranieri – tipo americani, inglesi. Ora, con gli alberghi chiusi, non se ne parla».
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