A causa del golpe fallito e degli attentati terroristici, dal 2016 la Turchia ha sofferto un calo del turismo vacanziero. Di recente ha trovato una forma sostituiva di rilancio nel turismo sanitario nel settore “trapianto di capelli”. Per la BBC, il giro di affari legato al trapianto di capelli in Turchia vale 1 miliardo di dollari e cresce con l’invecchiamento della popolazione. Nella sola Istanbul si contano più di 400 cliniche specializzate, disposte a compiere il miracolo a 1.500, 2.000 euro, contro i circa 25.000 richiesti in Gran Bretagna o Stati Uniti. Succede sempre più spesso di incrociare, passeggiando nella metropoli turca, parecchi uomini calvi con la testa stretta in una fascia nera. Sono gli adepti della nuova “mucca da mungere” (cash cow) fino a che produce soldi in questa strana forma di turismo medico.
Il risvolto che riguarda il nostro Paese ha visto, solo nell’ultimo anno, circa 7000 viaggi organizzati a questo scopo. I pazienti non generano introiti solo per le cliniche, ma anche per alberghi, ristoranti e attività commerciali. Per questo sono nate, anche in Italia, agenzie che organizzano viaggi e vendono pacchetti all inclusive, dove ai costi del trapianto si aggiungono viaggio aereo, vitto, alloggio e tour completo di attrattive turistiche.
L’alopecia oggi interessa il 50% degli uomini con un’età media di cinquant’anni: i primi segnali si hanno a partire dai venticinque anni, quando uno su quattro inizia a soffrire di tale patologia. Il 98% degli interessati soffre di alopecia androgenetica, una condizione ereditaria che genera la perdita di capelli secondo uno schema preciso. Sono più colpiti gli uomini, anche se si tratta di una malattia che incide sull’estetica della persona ma impatta pure sulla sua autostima, sulla sicurezza e sull’accettazione di sé. La maggioranza dei “clienti” italiani proviene dalla Campania, dal Lazio e dalla Puglia. Non a caso, il volo Bari-Istanbul di Turkish Airlines, operativo da aprile 2015, è cresciuto in tre anni del 28%, passando da quattro a cinque voli settimanali con un coefficiente di riempimento dell’aereo (load factor) arrivato all’82%.
Basta digitare su google “trapianto capelli Turchia” per trovare decine di annunci che offrono servizi a questo scopo.
C’è anche il risvolto della medaglia. Recentemente il fenomeno è stato oggetto di attenzione da parte degli organismi internazionali che si occupano del mercato del lavoro. Hanno evidenziato fenomeni di sfruttamento e irregolarità sul lavoro dei dipendenti delle cliniche turche operanti in questo settore. Nicholas Grisewood, Labour and Crisis Migration Specialist presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), ha descritto le problematiche dei rifugiati siriani occupati nell’industria dei trapianti di capelli, i quali, per sopravvivere, “sono disposti a scendere a compromessi che i turchi rifiutano».
Emre Eren Korkmaz, ricercatore presso l’International Migration Institute, concorda: «Come conseguenza del processo burocratico e delle condizioni per ottenere permessi di lavoro, i rifugiati siriani sono generalmente impiegati nell’economia informale. Il che significa che non vengono registrati al sistema di sicurezza sociale e non possono godere dei loro diritti e libertà fondamentali, come la libertà di associazione, sanità e sicurezza, orario di lavoro, salario minimo». Da parte delle cliniche non mancano veementi smentite.
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