«Le critiche generalizzate e spesso superficiali sono ingiuste e la retorica denigratoria nei confronti delle residenze assistite rischia di privare le persone, che ne hanno bisogno, di cure salvavita»
L’accusa riguarda casi singoli, ma la condanna diventa subito generale. Succede spesso, perché in pochi resistono alla tentazione di fare di tutta l’erba un fascio. Così, in piena emergenza pandemia, i presunti errori commessi da alcune case di riposo nella gestione del contagio da Coronavirus tra i loro ospiti si sono immediatamente trasformati nelle prove di un “J’accuse” generalizzato contro l’intero sistema delle residenze sanitarie assistenziali (Rsa). In molti hanno invocato riforme drastiche, suggerito rivoluzionari modelli alternativi, proposto piani di demolizione e ricostruzione pronti all’uso. Qualcun altro, invece, ha adottato un atteggiamento più cauto, invitando alla prudenza e ad analisi approfondite, perché lo scenario è più complesso: non tutto è da buttare, ci sono limiti che vanno superati, è vero, ma anche aspetti positivi da mantenere e potenziare.
Tra queste voci fuori dal coro c’è quella di Marco Trabucchi, già professore ordinario di Neuropsicofarmacologia nell’Università di Roma Tor Vergata e presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, che durante i giorni delle polemiche si è speso molto per difendere il ruolo delle Rsa nell’assistenza agli anziani. Lo abbiamo intervistato con lo scopo di fare chiarezza.
Sono state descritte come lager, parcheggi (incustoditi) per anziani, luoghi di sofferenza e solitudine, focolai di malattie. Le Rsa sono davvero così?
Certamente non si può negare che ci siano strutture sul territorio che sono sfuggite ai controlli e che hanno agito in maniera deplorevole. Bisogna però fare attenzione alle notizie delle violazioni riscontrate dai Nas. A volte si tratta di gravi inadempienze, altre di piccole trasgressioni che non compromettono il benessere degli ospiti. Il clamore mediatico riservato ai casi più critici induce a pensare che l’intero sistema delle Rsa sia da condannare. Ed è uno sbaglio perché offrono un servizio insostituibile.
Le Rsa sono quindi utili. Qual è la loro funzione?
Il punto centrale da cui deve partire qualunque riflessione sul futuro delle Rsa è il seguente: molte persone anziane si trovano in condizioni di salute tali da non poter più essere assistite come dovrebbero a casa. Da medico non posso affermare che la famiglia sia in grado di dare una risposta adeguata alle necessità di persone malate non più autosufficienti. Superato un certo limite di infermità, serve un’assistenza infermieristica, la sorveglianza 24 ore al giorno, la presenza di medici capaci di fornire cure di qualità. E non si tratta solo di interventi per ridurre il dolore, ma di veri e propri piani di cura a tutto tondo che la famiglia non può offrire. Ecco quale è lo scopo delle case di riposo.
Non bisogna quindi sentirsi in colpa se si decide di affidare un proprio famigliare al personale delle Rsa?
Questo è un tema che mi sta molto a cuore. Quando si alimentano i sospetti che tutte le strutture siano luoghi di sofferenza per gli ospiti, si fa un duplice danno. Da una parte si manca di rispetto agli operatori che durante l’emergenza Covid hanno dimostrato uno spirito di abnegazione encomiabile e che meriterebbero tutta la nostra ammirazione, dall’altra si rischia di istillare nei famigliari il senso di colpa, già presente in condizioni normali, per aver deciso di mandare il proprio caro in un posto che gli ha fatto più male che bene. Queste critiche generalizzate e spesso superficiali sono ingiuste e questa retorica denigratoria nei confronti delle case di riposo rischia di privare le persone che ne hanno bisogno di cure salvavita.
Ad un’analisi più approfondita emergerebbero senz’altro aspetti positivi, ma anche alcuni limiti delle Rsa… Potrebbe dirci quali sono gli uni e gli altri? Partiamo dai primi.
Oltre a garantire cure qualificate sul piano clinico e assistenziale, che non possono essere prestate in maniera adeguata a casa, le case di riposo offrono un sostegno psicologico ai loro ospiti, differenziato in base alle loro caratteristiche. Il 60-70% delle persone che risiede in una casa di riposo è affetto da demenza. In questo caso verranno proposti alcuni interventi specifici per migliorare la qualità della vita delle persone malate, tra cui, per esempio, “la terapia della bambola” (l’approccio prevede che la persona anziana accudisca una bambola, Ndr). Per le persone non affette da disturbo cognitivo sono previste altre attività, sempre con lo scopo di aiutare gli ospiti a mantenere intatto il senso della vita e assicurare agli anziani un ambiente sereno e stimolante. In questo contesto le visite dei famigliari acquisiscono un’importanza fondamentale.
Passiamo alle criticità. Quali sono i limiti che andranno superati?
La crisi dovuta all’epidemia ha messo in luce alcune questioni cruciali che dovranno essere migliorate. La prima è la formazione degli operatori. Le competenze degli operatori delle case di riposo sono diverse da quelle richieste in ospedale o sul territorio e dovrebbero essere acquisite con percorsi di formazione specifici che attualmente non esistono.
La seconda riguarda i costi: per fornire elevati standard di cura le strutture devono aumentare le loro entrate. Non si può pretendere di avere assistenza sanitaria di qualità, strumentazione tecnologica all’avanguardia, interventi psicologici efficaci, senza prevedere una congrua remunerazione a chi offre tutto questo. Bisognerà trovare il modo di finanziare meglio queste strutture senza dover aumentare le rette a carico delle famiglie già elevate. Si potrebbe intanto iniziare a ridurre i costi della burocrazia.
Insomma, non c’è bisogno di individuare un modello alternativo. Basta riformare quello che abbiamo. È così?
Sì. Per le ragioni che ho detto prima, l’assistenza domiciliare, che sicuramente deve essere potenziata, non può essere considerata un’alternativa valida alle case di riposo. La vera domanda che dovremmo farci è di natura strategica. Che direzione vogliamo prendere? Io sono convinto che il ruolo delle Rsa all’interno del Sistema Sanitario Nazionale sia fondamentale e vada potenziato.
In letteratura scientifica una delle caratteristiche usate per valutare la qualità delle cure in una casa di riposo è la capacità di evitare il più possibile i ricoveri ospedalieri, sia per risparmiare ai pazienti il trauma del trasferimento, sia per ridurre l’impatto sul sistema sanitario. Ecco, io penso che bisognerebbe puntare su questo traguardo: le Rsa dovrebbero cambiare la loro pelle, diventare un centro polifunzionale meno dipendente dall’ospedale e sempre più radicato nel territorio dove convergono le attività sanitarie territoriali, medici di famiglia in primis. Lo scenario ideale sarebbe quello di avere delle Rsa strettamente connesse alle altre strutture del Servizio Sanitario Territoriale, come le case della salute e gli ospedali, con uno scambio di prestazioni fornite dai professionisti delle diverse strutture, in modo tale che l’ospite della casa di riposo non sia un perfetto sconosciuto al di fuori della Rsa.
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