Com’è cambiata negli anni la rappresentazione degli anziani sul grande schermo. Dai personaggi fragili e buffi fino alla narrazione moderna, più inclusiva complessa e finalmente positiva.
Nel vasto universo cinematografico, il concetto di anzianità è passato attraverso epoche diverse e molto distanti tra loro. Una sorta di viaggio, affascinante e complesso, che ha visto gli attori più maturi trasformarsi da fragili vecchietti, pensati per ruoli marginali e stereotipati, a interpreti navigati che portano la loro esperienza sul set: la rappresentazione dell’anzianità nel cinema è un caleidoscopio di colori e sfaccettature.
Le prime pellicole apparse sul grande schermo hanno spesso raffigurato la terza età attraverso cliché e luoghi comuni, limitando la rappresentazione agli aspetti negativi: crisi, solitudine, malattia e perdita. Un cinema che nelle prime produzioni ha portato avanti l’immagine delle persone anziane come individui fragili, dipendenti e privi di scopo nella vita, riflesso di un’epoca dominata dall’ageismo. D’altronde, la settima arte è sempre stata lo specchio della cultura dominante, della società e dei cambiamenti economici del periodo.
Hollywood, in tal senso, si è fatta portabandiera di questa narrazione distorta. I personaggi anziani erano spesso ritratti come inetti e inadatti a vivere una vita piena e attiva; uno standard particolarmente evidente soprattutto nelle pellicole horror e thriller, in cui gli anziani venivano rappresentati, molte volte, come vittime o carnefici. E nonostante crescesse negli Anni ’20 il numero di film con attori anziani nei ruoli principali, il racconto della vecchiaia è rimasto a lungo incentrato sul declino e sulla perdita di un posto nella società e anche su una visione ironica e buffa della terza età.
Nello stesso periodo, il panorama cinematografico asiatico – seppure ancora in uno stato embrionale rispetto a quello americano – ha fornito un contrappunto interessante, dando vita a una carrellata di personaggi anziani calorosi, pazienti e saggi, sfidando così la narrazione occidentale.
Negli Anni ’50 e ’60, inizia a delinearsi una svolta nella rappresentazione della terza età su pellicola. Film come Il posto delle fragole di Ingmar Bergman (1957) e Il laureato (1967) di Mike Nichols iniziano a raffigurare gli anziani come individui complessi, con gioie, dolori e speranze proprie. Con Harold e Maude di Hal Ashby (1971) il cinema osa e sperimenta addirittura la relazione amorosa tra un giovane uomo e una donna più grande di lui, eccentrica e vitale, che riporterà gioia nella sua vita.
Un’evoluzione che continua e progredisce, in parallelo con il cambiamento della società. Dagli Anni ’80 in poi il cinema inizia a tingersi di tinte argento, vivo.
Uno degli esempi più importanti è Sul lago dorato (1981), che valse il premio Oscar per Henry Fonda e Katharine Hepburn, che recitarono, già anziani, in questo film dai toni delicati e commoventi sui rapporti intergenerazionali tra un nonno burbero e un giovane nipote acquisito. Nel 1985 la commedia fantastica Cocoon, la storia di un gruppo di anziani che scopre una piscina aliena che li ringiovanisce, segna un altro passo importante. Molte scene fanno sorridere ma il film, a leggerlo bene, è una forte allegoria della speranza e della possibilità di una nuova vita, anche in età avanzata. Un meraviglioso Al Pacino, nel 1992, è il protagonista – ritratto con forza e determinazione – di Scent of a Woman, un film che mostra come anche le persone anziane con disabilità possano vivere una vita piena e significativa. Ma anche Goodbye Mr. Holland (1995) con Richard Dreyfuss che interpreta un insegnante di musica pieno di passione, riporta in auge una maturità piena e tutta da vivere: anche gli anziani possono fare una differenza nel mondo.
Il cinema cambia di nuovo nei primi Anni 2000, quando si assiste a un notevole spostamento verso una rappresentazione più sfumata e realistica dei personaggi anziani sul grande schermo. Un cambiamento che può essere attribuito a una serie di fattori, tra cui i cambiamenti demografici (un generalizzato invecchiamento della popolazione), la maggiore consapevolezza dell’ageismo e la richiesta di una narrazione più inclusiva e diversificata. Finalmente anche sul grande schermo, come nella vita, gli anziani possono ancora provare sentimenti e ridere delle loro disavventure amorose.
La commedia britannica Marigold Hotel (2011) porta in India il quartetto di attori senior composto da Judi Dench, Bill Nighy, Tom Wilkinson e Maggie Smith per far vivere ai loro personaggi l’ebbrezza di un ultimo viaggio, che però si trasformerà presto nella prospettiva di una nuova vita. Nel 2012, il drammatico Amour diretto da Michael Haneke propone una riflessione ancora diversa, in qualche modo più approfondita e intima sull’amore, la vecchiaia, la malattia e la morte. Il film si pone subito come nuovo riferimento nel trattare temi così delicati, tanto da valergli la Palma d’oro al Festival di Cannes e l’Oscar come Miglior film straniero.
La lunga evoluzione del cinema verso un’immagine più reale dell’anziano passa necessariamente per Gran Torino, film del 2008 diretto e interpretato da Clint Eastwood, che racconta la storia del veterano Walt Kowalski, inizialmente arrabbiato e insofferente, che imparerà man mano a conoscere il significato di perdono e amicizia verso il prossimo.
La complessità della malattia è ben rappresentata sia da The Father (2020) con Anthony Hopkins, un ritratto struggente e concreto sulla demenza, che da Farewell – Una bugia buona (2019) in cui una giovane donna viaggia in Cina per salutare la nonna malata in quella che è, a tutti gli effetti, una vivida fotografia della rappresentazione orientale della morte di un anziano. In tempi più recenti è Pupi Avati a mostrare una nuova sensibilità – come in molte altre sue opere – verso i personaggi anziani, le loro storie, le loro emozioni. Con La quattordicesima domenica del tempo ordinario (2023) il tema della vecchiaia, insieme a quello della nostalgia e della solitudine, è dipinto in maniera delicata e soprattutto profonda, quasi a voler esplorare la fonte di questi sentimenti. Naturalmente, il grande schermo è composto da una costellazione ben più fitta di esempi di come sia cambiato il modo di portare la vecchiaia su celluloide.
L’industria cinematografica ha abbracciato questa nuova rappresentazione del mondo silver riconoscendone da subito il potenziale economico, producendo di conseguenza molti più film che parlano a tutte le età e affrontano le sfide e le opportunità della vecchiaia. Per questo, grandi attori, prima imprigionati nei medesimi ruoli interpretati per tutta la vita, da senior hanno dovuto reinventarsi. Come è accaduto a Robert De Niro ne Lo stagista inaspettato (2015), film in cui dà vita a un pensionato settantenne che diventa apprendista in una startup di moda online gestita da una giovane imprenditrice. Dalla cresta di De Niro in Taxi Driver ai rapporti tra generazioni, è un cinema che cambia. Decisamente.
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