Rainalda Torresini. Professoressa in pensione. Lettrice, regista e attrice di una compagnia amatoriale. Dice di se: “ho sempre amato giocare con i numeri, da regalare, da contare ma non ho mai giocato con il mio passato”. Ama la fotografia, la poesia e i gialli. Partecipa al Concorso 50&Più da diversi anni; nel 2015 e 2020 riceve la Menzione speciale della Giuria per la fotografia, nel 2016 vince la Farfalla d’oro per la prosa, nel 2017 riceve la Superfarfalla e nel 2019 vince la Farfalla d’oro per la poesia. E’ nata e vive a Carbonera (Tv).
Corrono i cavalli. Dopo essere stati chiusi per tanto tempo nel recinto, si sentono liberi di andare. Non considerano che la corsa potrebbe essere fatale per loro e per le persone travolte.
Così si comportano i miei simili finito il lockdown.
Ma io non sono come loro. Non mi sento di correre e vado piano, a passi lenti, anche se il desiderio di rivivere è forte, fortissimo. La voglia di vedere i miei figli e i nipoti, che in questo periodo importante della loro vita non ho visto crescere, mi pervade a ogni ora del giorno.
Io devo essere prudente per me e per loro, mi dico, e mi blocco lì sulla porta prima di uscire, con la mascherina e i guanti, mentre le lacrime scendono dietro gli occhiali. L’immenso desiderio di baciarli e abbracciarli è così forte che vorrei strappare tutto e correre verso le creature che adoro come quei cavalli che fuggono, sentendosi impazienti di scoprire il mondo che li circonda.
Sembra trascorso un secolo da quando uscivo per andare in un negozio, libera di toccare, di guardare tutto con attenzione, per trascorrere qualche ora in spensieratezza.
Vivo in una casa grande che mi soffoca. Sono libera di fare ciò che voglio nella mia prigione dorata, ma il silenzio mi opprime da due anni.
Quel silenzio, tanto cercato in passato, si è trasformato in realtà, diventando pesante come un masso che mi opprime e non mi fa respirare. Voci silenziose mi rimbalzano nel cervello. Ricerco chi non c’è più, chi se n’è andato così in fretta senza darmi il tempo di capire perché un uomo dalla salute ottima si è ammalato e in due mesi mi ha lasciato.
Nel primo periodo, affrontare la vita da sola è stata una corsa ad ostacoli, che si sono frapposti e mescolati al dolore: pranzi e cene con il pianto latente ogni volta che un riferimento alla passata esistenza mi si presentava inaspettato. Tentavo di scacciare il turbamento pensando al male che mi avrebbe provocato, al timore di colpire con la mia disperazione anche le difese immunitarie.
C’era per fortuna una consolazione: un nipotino che cresceva. Quello scricciolo, diventato la mia distrazione, era il mio sostegno. Le ore trascorse insieme mi rendevano felice ma, una volta rientrata a casa, c’era di nuovo il vuoto che mi opprimeva.
Il mio rifugio rimaneva la scrittura: racconti e poesie che avevano espresso in passato i miei sentimenti più profondi. Nei momenti bui ho deciso di scrivere proprio a chi non era più con me. Ho riempito un quaderno di tutte le mie sensazioni, in particolare mi sono soffermata sul distacco, sulla mancanza di condivisione di preoccupazioni e gioie. Pur essendo molto indipendenti, ci univa la passione per il teatro e quando anche lì è mancato l’entusiasmo, ho sentito il mondo crollarmi addosso.
“Tutto si supera”, pensavo, “con la determinazione e la tenacia riuscirò ad andare avanti”. L’entusiasmo per l’arrivo di un altro nipotino mi dava la carica per resistere e non pensare di andarmene.
Perché sì, devo confessare che talvolta l’ho desiderato.
Per chi, come me, ha sempre avuto una persona vicina, che in un modo o nell’altro costituisce un sostegno, è difficile farne a meno.
Il tempo passava e leniva la perdita.
E poi… ecco un altro tsunami travolgere la mia vita, ma stavolta non ero sola, perché tutti potevano diventare le vittime del nemico invisibile: il virus maledetto. In modo subdolo era arrivato a sconvolgere anche gli affetti, che dovevano essere tenuti lontano.
Anche per me il bisogno di abbracci doveva sparire! Mi venne spontaneo scrivere questi versi:
Per amore ti allontano
Per amore non ti abbraccio
Per amore non ti bacio
Per amore sto divisa da te.
Cos’è questo nuovo modo di amare
Che mi costringe a non toccarti?
Sarà il rispetto o la paura?
Perché, a morire, erano le persone più anziane ed io mi sento già un po’ anziana e possibile vittima, ma Il timore non era solo per me stessa, mi angosciava la paura del contagio per i miei figli e le loro famiglie.
Con loro, per vincere la lontananza, ci trovavamo in collegamento video, quasi ogni giorno, ma il distacco gravava come un peso intollerabile e le notizie in tivù, sempre più tragiche, trasformavano in affanno il mio respiro.
Il dovere di non uscire nemmeno a fare una passeggiata mi toglieva il fiato. Facevo ginnastica, mi muovevo passeggiando tra le mura di casa come un automa. Dovevo trovare il modo di sopravvivere, sentendomi fortunata nei confronti di chi soffriva in ospedale o moriva da solo.
Morire soli: era quello che più mi sconvolgeva.
L’immagine della fila dei camion militari che trasportavano le bare mi ha sconvolto e mi rimarrà per sempre nella memoria.
Fu allora che il mio ricordo tornò a due anni fa, al conforto dato a chi nella Casa dei gelsi terminava la sua vita. Quel giorno, pur essendo incosciente, mio marito aveva attorno a sé tutti i suoi cari. Era un sabato, il giorno in cui lui radunava la sua famiglia allargata.
Così restiamo uniti, diceva sempre. E si spendeva in pranzi che preparava lui stesso fino a due mesi prima di andarsene, il giorno in cui confessò di non averne più la forza.
Nel giorno del distacco noi eravamo tutti lì con lui, grandi e piccoli, e abbiamo mangiato insieme come lui avrebbe voluto, senza lasciarlo solo, fino all’ultimo istante.
Credo sia stata la nostra salvezza, perché morire soli è crudele per chi se ne va e tanto più per chi rimane senza aver dato conforto!
E noi, nel dolore, siamo stati beneficiati!
In questi giorni dopo il lockdown, le porte di casa si sono riaperte: posso tornare a passeggiare, ad andare in bicicletta e raggiungere la mia famiglia.
Quello che vedo in giro, però, non mi consola.
Poco rispetto delle regole: i cavalli corrono sciolti, senza capire che finire di nuovo nel recinto non è un’utopia, ma una possibile realtà. Forse i giovani non comprendono che niente potrà essere come prima. L’illusione di tornare a vedere i concerti con migliaia di spettatori, di abbracciare le persone che non si conoscono, di stringere la mano degli amici, resterà tale per molto tempo, magari fino a quando io non ci sarò più.
E devo confessare che per una persona fifona come me, che si scansava da chi aveva un semplice raffreddore, la vita futura sarà come un cielo sempre pieno di nuvole scure.
È vero, lo ammetto, non riesco ad accogliere questo tempo senza tempo, anche se lo voglio vedere scorrere ancora, come il sangue nelle arterie. Perché proprio il mio cuore ha fatto i capricci, quando stavo raggiungendo lo sguardo del mio piccolo: mi ha costretto a scendere dalla bici e ricorrere alle cure del cardiologo. Tutto a posto con un tubicino che magicamente mi ha guarito.
“Sì, corrano pure i cavalli, beati loro. Io, per il momento. resto ad osservarli dalle trame della tenda che copre la mia finestra sul mondo. E guardandoli ho deciso. Andrò avanti, con la paura, col timore del contagio ma con la forza di raggiungere il confine solo quando sarà veramente il momento per farlo, quando avrò lasciato dietro di me una scia d’amore che sarà come arcobaleno dopo il temporale”.
17 maggio 2020