Clelia Tonini.
Sposata, due figli è in pensione da un anno dopo aver lavorato per quarant’anni nel mondo della scuola. Lettrice accanita con la passione di scrivere racconti. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Rimini.
Resta sul cornicione. Ancora una volta, tocca a me convincerla a scendere. Immagino bene, lo capisco dalla voce stressata di mio padre che mi chiama dalla corte della palazzina.
Mi alzo dal letto ancora addormentato, guardo l’orologio. Sempre la stessa ora. Penso afflitto e contrariato.
Vado in cucina, esco fuori sul terrazzino. Mi infastidisce l’afa e l’umidità che mi penetra in tutto il corpo. Un’altra giornata calda che ti rende fiacco già dalle prime ore del mattino. E lei fa il solito circo.
Guardo giù e vedo mio padre esausto con la consueta squadra di mal capitati, carabinieri e uomini del pronto soccorso. Mi giro verso di lei. Seduta con le gambe incrociate, in posizione yoga, la sua figura si staglia nel cielo grigio di smog. I biondi capelli, lunghi e vaporosi, la camicia da notte bianca con le margherite gialle e rosse, lo sguardo perso nel vuoto.
Le do voce.
“Ti aiuto a scendere, sono qui!”, dico con voce calma e un po’ insofferente.
Rimugino che alle nove ho un colloquio di lavoro e mi devo preparare.
Stampare il curriculum, selezionare le pubblicazioni migliori, capire come vestirmi. Ieri sera non ne ho avuto voglia dopo la telefonata con Roberta.
Mi guarda, mi fa il segno di stare zitto con il dito indice della mano destra e mi indica la luna con l’altra mano.
“Non ho ancora finito. Aspetto il sorgere del sole. Luna e sole si affacciano l’una all’altro. Sole e Luna. Tuo padre e io non ci guardiamo più da tempo. Non mi disturbare anche tu, Marco. Io mi butto, è meglio morire per sempre”. Mi parla immobile e inespressiva.
“Disturbare, mamma? Che rispetto hai per me e anche per lui?”, indico mio padre stanco e rassegnato.
Poveretto, è appena sceso dal turno e trova la moglie che minaccia ancora di suicidarsi. Rifletto con rammarico.
Mi guarda impassibile. Nessun segno, nessuna parola. Si rivolge alla luna, che sta impallidendo al chiarore del giorno, con un suono di gola profondo. Mi accorgo che non è un lamento, è un canto come una nenia. Una preghiera.
“Mi ascolti? La vita non è cambiata solo a te.”
Ripenso a Roberta. Il suo amore non ha resistito. Il suo futuro si è orientato altrove e non più al mio fianco.
Guardo, triste, mia madre. La rivedo quando da giovane partecipava alle gare di ginnastica artistica e io l’accompagnavo assieme a papà e a Miranda. Sogno a occhi aperti. La vedo volteggiare come una libellula. Leggera, allegra, bella. Proprio come Miranda. Ammirava la mamma e seguiva ogni suo movimento atletico. Capriole, ruote, giravolte, salti. Tappeti, divani, letti erano la sua palestra. I suoi biondi riccioli volteggiano come api sui fiori. Sui poggioli del divano, il suo podio, imitava i gesti della sua stella. Con una mano appoggiata sul cuore alzava con l’altra la sua medaglia, la bambola Barbie appena regalata per il compleanno. Nessuno l’ha mai fermata neanche quel giorno.
Con passi incerti sulla sua asse di equilibrio, la spalliera del divano, mimava la sua campionessa. Un tonfo sordo. La bambola Barbie sul pavimento. Il vuoto freddo e doloroso.
Tutto è svanito con il tempo.
“Perché fai così? Quando ti gira prendi e sali sul tetto, almeno lo puoi fare di pomeriggio? E non sempre in piena notte profonda o alle prime ore del mattino?”. Ironizzo per smorzare la tensione.
Intravedo il suo sguardo. I suoi occhi parlano. Sono sinceri e leali.
“Mi è facile salire sul tetto e tu lo sai. Lo sa anche tuo padre. Dal terrazzino è un battito d’ali. È più facile di un triplo salto. Ringhiera, scala antincendio, cornicione. Una sospensione, un colpo di reni, ecco fatto! Subito il mio spirito respira libertà!”.
Alza le braccia e comincia a ondeggiarle come foglie al vento, emettendo un canto a voce bisbigliata.
Rabbrividisco e sudo freddo. Basta un battito d’ali per volare di sotto. Accenna un timido sorriso.
Imperturbabile continua.
“Qui, il mio spirito si concentra. Dalla luce della luna trovo purezza e dal calore del sole energia per un po’ di pace”.
Meditare l’ha sempre aiutata. Mi sovviene la sua figura in raccoglimento prima di ogni gara. Anche da quando Miranda non c’è più.
La ascolto come mai ho fatto.
“Non sono stata capace di salire sul podio delle vostre vite. Pensare che ci sono salita dopo ogni gara con facilità e per anni. Neanche più me ne accorgevo. Dovevo esserne capace! Invece, da quel giorno, non sono più riuscita a gestire le emozioni. Mi sono trovata in una trappola esplosiva. Poi ho capito. Sai cosa è, Marco?”.
“Scendi e ne parliamo con calma. Ti aiuto, sono qui!” le allungo la mano.
Niente.
Prosegue con una consapevolezza emotiva, potente come un fiume in piena. “Rabbia, Marco, è rabbia. Come una freccia velenosa che ha trafitto il mio cuore e mi annienta giorno dopo giorno. La mia anima non c’è più. Sono così arrabbiata che mi sento disgustata di me stessa. Sono in trappola, capisci? Sarei disposta a tutto per avere in mano la chiave che apra la prigione che mi sono costruita dentro di me”.
Continua.
“A un passo dal cielo, non ho dolore”.
Mi accorgo della presenza di mio padre seduto al tavolo della cucina con la testa tra le mani. Piange in silenzio.
Chiusi, ognuno nel proprio egoismo, indifesi dal dolore, non ci siamo abbracciati, per salvarci. Penso alienato.
“Mamma, vuoi un caffè? Sai oggi ho un colloquio. Forse è la volta buona. Scendi?”
Con la testa accenna un sì.
“Finisco la preghiera.” Incomincia una mesta cantilena.
Entro in cucina. Mio padre e io ci guardiamo. Siamo provati, ma sollevati. Tra poco scenderà dal suo tempio.
Preparo la Bialetti da tre, metto tre tazzine e lo zucchero sul tavolo. Mio padre si alza dalla sedia con fatica e prende i biscotti dalla credenza. Gli tremano le mani dalla stanchezza.
Un rumore indefinito. Grida agghiaccianti e imprecise provengono da ogni parte.
Il silenzio. Il mio cervello si svuota.
Non sento più la sua triste cantilena.
Sul lastricato della corte un raggio di sole illumina mia madre senza vita. Non è stato il solito circo!