Per stare bene nella modernità serve tornare allo spirito del Risorgimento, dice il direttore de Il Tempo. I nemici sono la cattiva globalizzazione e la spocchia di chi resta ancorato al Novecento
«L’Italia è all’inizio di un grande momento di riscossa. Hanno cercato di uniformarla agli altri Paesi, di renderla “grigia”, ma fortunatamente non ci sono riusciti». Tommaso Cerno, direttore de “Il Tempo”, come al solito spiazza, con idee che sconfessano la “vulgata” e inseguono il senso comune, cercando di mettere a fuoco la vita reale. A chiedergli un bilancio del primo quarto di ventunesimo secolo, venticinque anni in cui le certezze di fine Novecento sembrano essersi lentamente sgretolate, la risposta è perentoria. «La sinistra, nel mondo, ha in fondo vinto la partita del Novecento, ma è rimasta ancorata al Novecento. Fatica a liberarsi del marxismo e legge con meno chiarezza della destra la nuova realtà economica e sociale. Ha sposato la globalizzazione presentandola come un processo positivo e inarrestabile e trascurandone, invece, i limiti. La tendenza ad abbattere le frontiere, a uniformare, ad accentrare, ha avuto l’effetto paradossale di reazioni di chiusura, nazionalistiche e conservatrici. Ha riportato guerre, divisioni e muri che sembravano caduti. Oggi destra e sinistra, nazionalismo e progressismo, nascondono la battaglia tra chi si è arricchito e chi si è impoverito con la globalizzazione». Negli ultimi trent’anni, nella politica italiana, ha tenuto banco il dibattito sulla cosiddetta Seconda Repubblica: un’evoluzione al passo coi tempi, secondo Cerno, ma ancora incompleta. «Costituzionalmente», dice il direttore, «l’Italia è rimasta la Repubblica del 1948, caratterizzata dal susseguirsi di una quantità enorme di governi che passavano solo accidentalmente per le elezioni. La cosiddetta Seconda Repubblica ha cominciato a nascere in tre momenti: con la vittoria elettorale di Berlusconi nel 1994, ripetuta nel 2001 e nel 2009, con la vittoria di Prodi nel 1996, ripetuta nel 2006, e con la vittoria di Giorgia Meloni nel 2022. In questi casi, pur in assenza di un diritto costituzionale che attribuisce al popolo il diritto di scegliersi il premier, gli elettori hanno di fatto indicato il premier e il parlamento ne ha preso atto. Gli altri governi degli ultimi trent’anni sono stati accidenti: tentativi di tornare all’epoca in cui i governi si formavano nei palazzi, nelle segreterie dei partiti, secondo gli equilibri politici. Ma la riconversione è riuscita solo in parte, nel senso che, appena ha riavuto in mano la scheda elettorale, il popolo ha scelto di proseguire con la Seconda Repubblica, cioè di indicare un governo attraverso il voto. Alcune forze politiche fanno fatica a digerire questo metodo: le critiche a Giorgia Meloni non dipendono tanto da quello che fa, ma dal semplice fatto di essere a palazzo Chigi e di esserci arrivata in un certo modo. Il vero tema politico all’ordine del giorno è: riuscirà l’Italia a mettere per iscritto l’esperienza innovativa della Seconda Repubblica, ossia l’indicazione del premier da parte del popolo?». Quasi superfluo chiedere a Cerno quali siano i personaggi politici più rappresentativi del primo quarto di ventunesimo secolo in Italia. «Berlusconi, Prodi e Giorgia Meloni», ribadisce, «ossia gli unici capaci di fondare un movimento politico: rispettivamente Forza Italia (e poi il Popolo delle Libertà), l’Ulivo e Fratelli d’Italia. Gli unici capaci di vincere con il consenso popolare e capaci di interpretare lo spirito dei tempi nuovi. Tutto il resto è stato fallimentare: dagli esecutivi tecnici ai cambi di casacca, dai governi del presidente a quelli di unità nazionale». L’opinione di Cerno è decisa anche a proposito dei mutamenti sociali occorsi nel nostro Paese, in tema di integrazione e diritti civili. «L’Italia», sostiene, «è nei fatti la società più aperta d’Europa. Se si parla di scartoffie, si può forse dire che i diritti siano più garantirti in un Paese come il Regno Unito. Ma si tratta di una bugia. Nella vita reale l’Italia conquista giorno dopo giorno, con fatica, una modernità di fatto, un’integrazione di fatto, un’unità di fatto anche su questioni complesse. Senza grandi disparità di vedute tra diversi contesti e classi sociali: disparità che sono invece più evidenti in Gran Bretagna, al di là delle parole e delle petizioni di principio. L’integrazione mediterranea è, a mio parere, più difficile ma più reale: in Italia, con la prossima generazione, questi temi saranno completamente metabolizzati». Quando richiamo il celebre anatema di Indro Montanelli, per cui il futuro dell’Italia è compromesso dall’incapacità di ricordare il passato, Cerno chiarisce. «Il passato da ricordare non è certo il fascismo. Se c’è una cosa che la Repubblica ha rimosso dalla coscienza nazionale è proprio il fascismo. Quelli che la sinistra indica come esempi di ritorno del fascismo sono micro-elementi secondari di nostalgici, che dimostrano, proprio per la grossolanità con cui sono espressi, quanto la cultura dittatoriale sia ormai estranea all’Italia. Il passato a cui oggi dovremmo fare riferimento è antecedente al fascismo, è lo spirito risorgimentale in nome del quale un pugno di giovani ribelli prese in mano il Paese e ne fece uno Stato». La vera sfida, ammonisce Cerno, è leggere e indirizzare la modernità. «La globalizzazione intesa come capacità di unire il mondo con mezzi tecnologici è un fenomeno che determinerà il futuro dell’economia, che definirà i nuovi lavori e il nuovo sistema del commercio. La globalizzazione intesa come un unico luogo in cui si decide per tutti, invece, è già fallita».
© Riproduzione riservata