«I Paesi che crescono in modo regolare mostrano che è possibile avere più lavoratori anziani e anche lavoratori giovani». Per l’Italia, i fondi europei sono un’opportunità per investire, meglio se nella sostenibilità ambientale e nel digitale.
«Il problema dell’invecchiamento va inteso in modo globale. Occorre considerare la salute, gli stili di vita, gli interventi legislativi. È evidente quanto non siano stati utili gli attuali provvedimenti che, da anni, si limitano a prepensionare gli anziani. C’è bisogno di creare incentivi per l’invecchiamento attivo». A dirlo a 50&Più è Tiziano Treu, presidente del Cnel, già ministro del Lavoro. Lo abbiamo raggiunto a margine della presentazione del libro La popolazione anziana e il lavoro: un futuro da costruire (Il Mulino), frutto della collaborazione tra l’Associazione 50&Più e la Fondazione Leonardo, per fare il punto sulle prospettive dei senior nell’economia del nostro Paese.
Cosa serve per garantire la permanenza dei senior nel mondo produttivo?
Le imprese possono fare molto, perché dove c’è un’organizzazione nuova e attenta alle esigenze delle persone anziane, si può contare sul lavoro di queste ultime fino a un’età più avanzata.
Il che non rischia di creare un corto circuito tra anziani e giovani che cercano occupazione?
Occorre infatti una staffetta generazionale, cioè la possibilità che nell’ultima parte della vita lavorativa si esca dal proprio impiego in modo graduale – magari, con un part time aiutato dallo Stato -, è come compensazione, si assuma un giovane. Così, giovani e anziani si scambiano le esperienze, si aiutano contribuendo anche a risanare un patto generazionale che si sta sfaldando.
Esiste un’età giusta per andare in pensione?
C’è piuttosto una fascia d’età, perché non tutti invecchiano allo stesso modo, non tutti hanno le stesse priorità. Il problema è fissare la soglia minima – dai 60 ai 70 – entro la quale decidere, a seconda del proprio stato di salute, del tipo di lavoro, degli impegni – di smettere di lavorare. Ovviamente, coloro che vanno in pensione prima prendono meno; chi va più tardi, prenderà di più. Non c’è un’età giusta. Per ragioni finanziarie esiste piuttosto un’età minima, altrimenti chi pagherebbe e sosterrebbe gli anziani se i lavoratori andassero via come ai tempi delle baby pensioni? Sarebbe insostenibile. Già adesso, con pochi giovani, è difficile sostenere il sistema, quindi una soglia minima – che si sta alzando gradualmente in tutto il mondo – è necessaria: poi ognuno valuta cosa conviene per la propria vita.
Non ritiene che, nel nostro Paese, ci sia una resistenza degli stessi senior all’idea di allungare il percorso lavorativo? Non appena si creano finestre di uscita anticipata, conti alla mano, si prova ad andare via.
Non è del tutto vero. Guardiamo anche alla “Quota 100” – che non sarà rinnovata, cosa che ritengo giusta -. È stata usata meno del previsto perché la gente si fa effettivamente due conti e dice: “Se non ho un lavoro pesante e ci sono delle deroghe, se sto benino, chi me lo fa fare ad andare in pensione?”. La gente fa singolarmente i conti meglio dei politici, come si è visto in questo caso.
Spesso, però, resta appunto chi non ha alcun vantaggio ad andarsene. Non perché, per scelta, lavorerebbe più a lungo. Forse va proprio rimodulata la quantità di tempo che spendiamo a lavorare?
In Italia, per quanto riguarda l’orario settimanale, si lavora un po’ più della media europea. Probabilmente, in futuro, con le nuove tecnologie che rendono il lavoro più leggero – e che forse lo distruggono – bisognerà lavorare un po’ meno.
Alla storia che gli anziani tolgano lavoro ai giovani lei non crede…
Noi italiani pensiamo che i numeri siano una cosa inutile e ragioniamo con le fantasie. I numeri lo dicono in tutto il mondo: non è vero che se esce un anziano dal mondo del lavoro, entra un giovane. Tutto dipende dall’economia, dai tipi di lavoro. È una fanfaluca. I giovani vengono illusi che mandando via il “nonno”, loro entrano. Non è così.
Cosa occorre per creare nuovi posti di lavoro?
La crescita. Se uno è fermo, come l’Italia da anni, la torta è sempre quella e le fette diventano più piccole. I Paesi che crescono in modo regolare mostrano che è possibile avere più lavoratori anziani e anche lavoratori giovani. Ma se la torta non cresce, è una guerra fra poveri.
I fondi che arriveranno dall’Europa che strumento sono e che indirizzo dovrebbero prendere per incentivare la crescita?
L’Europa lo dice forte e chiaro. Questi soldi servono a investire, non a consumare. Non si possono usare per consumi o assistenza, anche se è quella giusta. Non solo: gli investimenti vanno fatti nelle direzioni indicate. Oltre il 35% in economia verde ambientalmente sostenibile perché, se lo sviluppo del futuro non è sostenibile, è un guaio per tutti. Poi, una seconda grande area è data dagli investimenti in campo digitale, perché il futuro dell’economia sarà sempre meno “fisico” e più digitalizzato. Se vogliamo stare nella concorrenza mondiale e crescere bene, questa è la strada.
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