Secondo un team di scienziati statunitensi, l’invecchiamento non dipende dall’età anagrafica, ma da quella biologica. Per misurarlo sarebbe sufficiente utilizzare l’indice relativo al “Ritmo di Invecchiamento”. Con quali conseguenze sulle politiche sociali?
Invecchiare non è una questione di età. O meglio, l’età c’entra, ma non quella anagrafica. Si può essere vecchi già a 45 anni, così come si può essere nel pieno delle proprie energie fisiche e mentali a 90 anni. E allora, la cosiddetta terza età? A quanto pare dipende da alcuni indicatori biologici, che però possono essere misurati con anticipo. Ad individuarli, uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Duke University di Durham, nella Carolina del Nord, e pubblicato dalla rivista Nature Aging.
Tutto dipende dal “Ritmo di Invecchiamento”
Gli scienziati hanno preso in esame un campione di circa 1000 pazienti, classe 1972-73, utilizzato in un precedente studio scientifico (The Dunedin Study). In un periodo di 20 anni, hanno collezionato i dati relativi a 19 biomarcatori. Il team ha misurato i marcatori precisamente a 26, 32, 38 e 45 anni, ottenendo un indice chiamato Pace of Aging, ovvero “Ritmo di Invecchiamento”. Questo indice permette di verificare come cambiano le funzioni dei sistemi cardiovascolare, metabolico, renale, immunitario, dentale e polmonare con il passare dell’età e, in particolare, con quali implicazioni sulla vita futura. Risultato: c’è chi invecchia prima e più velocemente di altri coetanei. Questo perché il processo di invecchiamento non dipende dall’età riportata sulla carta d’identità ma da quella biologica.
Misurare l’età biologica
L’età biologica è il risultato di un mix di patrimonio genetico, biologia cellulare e conseguenze di esperienze individuali. Questo mix rende il ritmo di invecchiamento di ogni individuo potenzialmente unico. Quindi, le persone con un ritmo di invecchiamento più veloce potrebbero riscontrare maggiori difficoltà cognitive, minori abilità sensitive e motorie, un aspetto più “senior” e anche una percezione più pessimistica dell’invecchiamento rispetto a chi ha la stessa età anagrafica ma invecchia a un ritmo più lento. Inoltre, chi invecchia prima affronta un rischio maggiore di malattie croniche, disfunzioni cardiache, diabete e cancro, di ridotte capacità fisiche, disabilità, problemi di udito e di memoria. Dunque, bisognerà prenotare per tempo check-up e controlli clinici.
Ripensare le politiche per la terza età?
Per mitigare i costi individuali e sociali dell’invecchiamento, generalmente le politiche pubbliche prendono in considerazione l’età cronologica. Succede per le politiche pensionistiche, di welfare e sanitarie. Ma il Pace of Aging, il ritmo di invecchiamento, dimostra che non è necessariamente l’età cronologica a determinare l’invecchiamento. Molti over 90 continuano ad essere indipendenti e nel pieno della propria vitalità, altri invece affrontano malattie e mortalità prima dei 60, l’età che tradizionalmente viene considerata anticamera della vecchiaia.
Proprio grazie ai biomarcatori, è però possibile intervenire con anticipo per prevenire o rallentare il declino biologico prima che si accumulino i fattori di invecchiamento. Una logica che – sottolineano i ricercatori della Duke University -, dovrebbe guidare anche le politiche dell’invecchiamento e della terza età visto che l’età anagrafica finora adottata come parametro di riferimento è una base “imperfetta” per definire le politiche sociali. Una nuova visione che richiede di sradicare i luoghi comuni ma possibile e necessaria per promuovere davvero l’invecchiamento attivo, consapevole, inclusivo.
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