Adiyaman è fra le città del sud est della Turchia più colpite dal terremoto del 6 febbraio scorso. Con una popolazione che prima del sisma contava oltre 270 mila abitanti, è il centro amministrativo dell’omonima provincia.
Gli abitanti, in maggioranza curdi aleviti, si trovano quasi tutti costretti a vivere per strada, nelle tende fornite dall’Afad, l’equivalente della Protezione Civile in Turchia, o realizzate autonomamente con teli di plastica e altri materiali di fortuna.
Quasi tutti qui hanno avuto diverse vittime fra i propri cari, e spesso nella stessa tenda si ritrovano a vivere insieme i sopravvissuti di più di un nucleo familiare, purtroppo decimati dai crolli e dai ritardi nei primi soccorsi.
I ritardi negli aiuti
In molti fra gli sfollati, soprattutto nelle aree periferiche, lamentano la scarsa attenzione delle istituzioni locali e la mancata tempestività nella ricerca dei sopravvissuti sotto le macerie. I cittadini di Adiyaman sono convinti che le stime ufficiali delle vittime siano al ribasso rispetto ai dati reali diffusi finora e dicono che sotto molti dei palazzi crollati un piano sull’altro, alcuni con più di cinquanta appartamenti, non si è ancora cominciato a scavare, a oltre due settimane dal sisma.
L’emergenza delle tendopoli
Il disagio della vita nella provvisorietà delle tende, intanto, rischia di diventare anche un’emergenza sanitaria, in assenza di un piano di sostegno adeguato: mancano i bagni chimici, la legna, una distribuzione di pasti caldi capillare che spesso si riduce a pochi snack o al pane donato dai fornai comunali nei punti di distribuzione concentrati nel centro della città, nei pressi della Prefettura e gestiti dalla Mezzaluna Rossa.
Gli aiuti per chi abita, o abitava, nelle periferie, e ora ha piantato una tenda in giardino o sulla strada, sono arrivati soprattutto dalla società civile, da chi ha scelto di lasciare la sua città in questo momento più sicura per mettersi al servizio di chi ha perso tutto.
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