La provincia di Maraş, città da oltre 380 mila abitanti, è stata parte dell’epicentro del sisma, con conseguenze disastrose non solo nel centro urbano, ma anche nei paesi e nei villaggi rurali circostanti, dove gli abitanti, anziani in particolare, sono rimasti isolati per giorni, senza la possibilità di ricevere aiuti e beni di prima necessità.
Solo successivamente, oltre all’Afad, l’equivalente della Protezione Civile turca, anche alcune associazioni private si sono mosse per portare le tende e offrire una sistemazione temporanea ai sopravvissuti, come la Fondazione Abu Zahra, che ha inviato volontari dall’estero per portare soccorso.
Terremoto in Turchia: le indagini sui crolli degli edifici
Nel frattempo, le indagini su quello che resta degli edifici crollati o fortemente compromessi dal terremoto, hanno portato gli esperti della Procura di Kahramanmaraş a sostenere che solo il 5% delle costruzioni della provincia rispettavano le norme antisismiche, e dunque le responsabilità umane hanno certamente accresciuto la portata di un evento naturale già devastante.
La comunità siriana
Nel centro della città si sono formate diverse grandi tendopoli autogestite. In una di queste, in particolare, convivono turchi e siriani che in questo momento stanno condividendo la stessa sorte. Qui a Maraş la comunità siriana è molto numerosa e chi aveva contatti altrove ha lasciato la città alla volta di Kilis, Izmir, Bursa o Ankara. Gli altri, che spesso vivevano già prima del terremoto in Turchia in condizioni di marginalità e sfruttamento lavorativo, hanno perso anche quel poco di normalità che avevano conquistato negli anni, in un paese straniero, dopo essere fuggiti dalla guerra.
Ma se è vero che oggi gli episodi di razzismo sono diventati più frequenti, a causa della crisi economica e dalle difficoltà che vive anche la comunità turca in quest’area del paese, oggi molti cittadini, con la tragedia comune del 6 febbraio, riescono a immedesimarsi nella sorte dei rifugiati e a capire meglio il loro percorso.
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