In Italia siamo ancora un po’ indietro con le terapie digitali. Ma per recuperare il divario che da un anno circa si è creato con gli altri Paesi è stato istituito il gruppo “Terapie Digitali per Italia #DtxITA”.
Dalla Germania agli Stati Uniti, infatti, le Digital Therapeutics (o Dtx) hanno visto l’approvazione della diverse Autorità sanitarie. Oggi, nel nostro Paese, possiamo contare su un gruppo di circa 40 ricercatori ed esperti di varie materie (tra cui ricerca clinica, economia sanitaria, ingegneria e informatica) che vi sta lavorando
Cosa si intende per terapie digitali
Facciamo però un passo indietro e cerchiamo di capire cosa sono le terapie digitali. Con questo termine si intende tutta quella parte di digital health (salute digitale) che usa le tecnologie digitali per curare una patologia, una malattia mentale o una condizione psicologica.
Si tratta di un vero e proprio intervento curativo. È basato sulle modifiche del comportamento o degli stili di vita e sull’applicazione (digitale) di interventi di cognitivo-comportamentali.
Attenzione però: non stiamo parlando di semplici App per la salute. E neppure di interventi di telemonitoraggio o sistemi di diagnosi. Non siamo di fronte a dei Patient Support Program, cioè sistemi che aiutano i pazienti nella gestione delle loro patologie. Siamo dinanzi ad un vero e proprio trattamento di cura che – come tale – è stato studiato. Con le stesse regole usate per studiare i farmaci e verificarne la sicurezza, l’efficacia e gli eventuali eventi avversi.
L’efficacia della terapie digitali studiata come quella dei farmaci
Che sia un trattamento curativo, quello delle terapie digitali, lo dimostra anche il “bugiardino” che spesso le accompagna. Un esempio fra tanti è Endeavor.
È un videogioco che cura i disturbi da ADHD, ovvero da Disturbo da deficit di attenzione per iperattività. È stato approvato da poco dall’americana FDA, la Food and Drug Administration. Nelle istruzioni si specifica che la “dose” è di 25 minuti al giorno 5 giorni alla settimana per 4 settimane. Si tratta quindi di un protocollo terapeutico validato da sperimentazioni cliniche.
Analogamente ai farmaci tradizionali, le terapie digitali hanno un principio attivo: l’algoritmo che le gestisce. È proprio questo a migliorare gli esiti clinici modificando il comportamento dei pazienti. Infatti, una delle caratteristiche delle terapie digitali è quella di coinvolgere il paziente, spesso tramite componenti ludiche che i farmaci non possiedono. Una capacità che studi clinici hanno dimostrato essere efficace.
Terapie digitali, a quanti ambiti si possono applicare
L’elenco delle aree mediche in cui sono applicabili le terapie digitali è lungo. All’estero comprende malattie croniche come diabete ed ipertensione, malattie mentali come ansia e depressione. Sono persino usate per la riabilitazione, per implementare la qualità del sonno e combattere le dipendenze (fumo o altre sostanze).
La prima terapia digitale risale addirittura al 2009. Riguardava il trattamento della depressione e si chiama Deprexis. È una piattaforma digitale che consente un intervento cognitivo-comportamentale. Si è dimostrata così efficace che oggi è impiegata negli ospedali in Germania, dove è stata sviluppata, e in Svizzera.
Ma la FDA ha anche approvato ReSET. È un’App in grado di curare chi soffre di problemi di dipendenza e abuso di oppiacei offrendo una terapia cognitivo-comportamentale. C’è anche BlueStar Diabetes, app per gestire i pazienti diabetici: agendo su esercizio fisico e alimentazione riesce a ridurre l’emoglobina glicata in maniera significativa. C’è persino Omada Health, un programma online che aiuta a perdere peso riducendo il rischio cardiaco.
Più di recente in Germania sono state approvate due App per terapie digitali. Una serve a gestire l’acufene (Kalmeda) e l’altra (Velibra) a curare i disturbi d’ansia. La prima tratta l’acufene mediante una terapia cognitivo-comportamentale personalizzata basata sui disturbi segnalati dal paziente. La terapia, prescritta dal medico, dura tre mesi. La seconda è invece indicata per pazienti maggiorenni che manifestano disturbo d’ansia generalizzato, attacchi di panico o disturbo d’ansia sociale. Riesce a dialogare con il paziente in base alle risposte che egli fornisce a una serie di domande e sulla base della terapia cognitivo-comportamentale.
© Riproduzione riservata