Secondo l’indagine dell’Osservatorio Life Science Innovation del Politecnico di Milano, il 60% dei pazienti con patologie croniche o gravi darebbe il proprio consenso a terapie avanzate; un italiano su due ad ingerire sensori per scopi diagnostici o di ricerca. Ma l’innovazione è bloccata da ostacoli normativi.
Mentre si va avanti, nonostante la crisi di governo, sulla nuova sanità di prossimità, terapie avanzate e digitali, farmaci innovativi, sperimentazioni cliniche da remoto e telemedicina stanno diventando, seppur lentamente, una realtà e una priorità per pazienti, medici e imprese farmaceutiche, delle biotecnologie e dei dispositivi medici (il cosiddetto settore Life Science). È questo in sintesi il risultato emerso dall’indagine dell’Osservatorio Life Science Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, realizzata in collaborazione con alcune delle principali industrie e organizzazioni attive nel settore.
Sei pazienti gravi su dieci utilizzerebbero terapie avanzate, se consigliate
Il 25% delle aziende che operano in Italia nel settore farmaceutico, delle biotecnologie e dei dispositivi medici offre già terapie avanzate. E il 59% dei pazienti coinvolti nella ricerca è propenso a utilizzare questa tipologia di terapie se consigliate dal proprio medico.
Si tratta, per fare un solo esempio, delle terapie geniche, che consentono di curare malattie genetiche trasferendo nel malato la copia funzionante del gene che è assente o difettoso. “Sono medicinali biologici classificati in quattro categorie” spiega Gabriele Dubini, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Life Science Innovation: “medicinali di terapia genica (es. le CAR-T), medicinali di terapia cellulare somatica, medicinali di ingegneria tissutale, anche ormai ottenibili mediante biostampa 3D di tessuti, e infine medicinali per terapie avanzate combinate, che contengono uno o più dispositivi medici come parte integrante del medicinale a base di cellule o tessuti. Le opportunità offerte sono però ancora poco conosciute alla maggior parte dei professionisti sanitari – osserva -, che non hanno ancora maturato un giudizio su quanto possano essere promettenti per il futuro”.
App e Videogiochi al posto delle medicine: la nuova frontiera delle Terapie Digitali
Il 46% delle aziende Life Science dichiara inoltre di aver sviluppato altri farmaci innovativi. Così come il 36% considera la frontiera delle Terapie Digitali – dispositivi medici basati su App e/o videogiochi prescritte dal medico in combinazione a un farmaco o in modo indipendente – una priorità per il futuro.
Queste Terapie stanno diventando una realtà a livello internazionale, in particolare negli USA e in Germania. Mentre nel nostro Paese l’innovazione è rallentata da alcune barriere normative. In particolare, per il 60% delle aziende coinvolte nella ricerca il principale ostacolo è la mancata rimborsabilità di queste terapie, cui si aggiunge la scarsa chiarezza del percorso di validazione clinica necessario (61%). Quest’ultima barriera è segnalata anche dal 41% dei medici specialisti, che faticano inoltre a vedere le differenze tra queste soluzioni e altre App per la salute (67%).
Un medico su quattro ha già partecipato a sperimentazioni cliniche da remoto
L’innovazione – spiegano ancora i ricercatori – riguarda anche le modalità con cui sono condotte le sperimentazioni cliniche. Il 25% dei medici specialisti coinvolti nell’indagine ha dichiarato di aver partecipato a sperimentazioni cliniche con almeno una fase decentralizzata (Decentralized Clinical Trial), ovvero sperimentazioni cliniche in cui, grazie alle opportunità offerte dal digitale, alcune o tutte le attività avvengono in una sede diversa da quella degli specialisti che effettuano la sperimentazione. Il 50% di chi non ha ancora sperimentato questa nuova modalità sarebbe inoltre interessato a farlo in futuro.
È però sui pazienti che le opportunità offerte dal Digitale applicato alla medicina hanno il più “grande impatto potenziale”. Sei pazienti con patologie croniche o gravi su dieci sono propensi a utilizzare terapie avanzate, se consigliate dal proprio medico. Tre su quattro, invece, prenderebbero parte a una sperimentazione clinica che preveda l’utilizzo di tecnologie digitali come i dispositivi indossabili e la tele-visita.
Un italiano su due disponibile all’impianto di sensori
Per i ricercatori è in particolare sorprendente la disponibilità verso l’uso di sensori impiantabili o ingeribili: un italiano su due accetterebbe l’impianto per raccogliere dati su parametri clinici per monitorare una patologia, se consigliato dal medico curante. Nei pazienti coinvolti nella ricerca la propensione è ancora più elevata: il 62% darebbe il suo consenso ai sensori ingeribili per scopi come la diagnostica, la ricerca clinica, la medicina personalizzata. Circa un paziente su quattro si dice dunque pronto a condividere i propri dati, non solo con le strutture che li hanno in cura, ma anche ad esempio con le aziende che producono farmaci o dispositivi medici.
Un “ecosistema” che vale in media quasi 40 milioni di dollari
A livello mondiale, le startup che operano nel settore hanno raccolto mediamente finanziamenti per 36,4 milioni di dollari. Gli investimenti più sostanziosi vanno alle imprese che si occupano di raccogliere dati attraverso l’impianto di sensori di ultima generazione (77 milioni di dollari di finanziamento medio) e di Terapie Digitali (67 milioni).
“L’ecosistema Life Science è oggi colpito da più onde di innovazione tecnologica sia radicale che incrementale che stanno disegnando nuovi scenari di cura del paziente e dischiudendo nuove opportunità – spiega Emanuele Lettieri, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Life Science Innovation. “Tutti i player di questo ecosistema sono chiamati a comprendere come cavalcarla, per non rimanerne travolti. Per riuscirci, bisogna accelerare la trasformazione culturale di questo ecosistema, creando maggiore consapevolezza e nuove competenze, sviluppare normative e regolamenti sia a livello europeo sia nazionale e favorire la condivisione di conoscenze, strumenti e best practice su scala almeno europea”.
© Riproduzione riservata