«Il tempo è l’unica cosa che non si può mai restituire. Non si restituisce la gioventù, non si restituiscono le ore di gioco. Bisogna quindi “farsi amici” del tempo e trarre le dovute lezioni dalla Storia»
C’è un proverbio arabo che così suggerisce: “Tempi duri generano uomini forti, uomini forti generano tempi felici. Tempi felici generano uomini deboli, uomini deboli creano tempi duri”. Alla generazione dei 50 e più, in particolare a quella nata al termine del secondo conflitto bellico, i cosiddetti Baby Boomers, la Storia ha certamente dato molto in termini di pace, prosperità e prospettive di crescita.
Le generazioni che sono venute dopo, tra cui i Millennials e la Z generation, sono invece nate in un tempo di diffuso benessere, hanno conosciuto straordinarie innovazioni tecnologiche e goduto di libertà difficilmente immaginabili pochi anni prima. Eppure stanno attraversando due traumi profondi i cui impatti non sono forse ancora del tutto misurabili sulle coscienze e nelle comunità.
Il primo trauma non è associato a una data o un fatto emblematico, ma è stato caratterizzato dalla lenta e diffusa difficoltà di alcune generazioni ad affermarsi oltre il successo di chi le aveva precedute, vedendo infranta l’illusione che ai figli toccasse sempre un progresso in termini economici rispetto ai propri padri.
Il secondo trauma ha una data precisa – 2020 – e un nome notissimo – Covid-19 -, seguito immediatamente da una guerra vicina, che ha travolto la generazione più giovane minandone le certezze e la capacità di lettura del mondo. Il risultato è un’insicurezza diffusa e una sensazione di inefficacia che spesso tracima in un senso di impotenza.
Un tema, questo, che proprio Walter Veltroni affronta con grande sensibilità nell’intervista dal titolo Un furto di gioventù, contenuta nell’inchiesta di questo mese. A differenza dei beni, e forse anche di valori come libertà o dignità, il furto di gioventù appare particolarmente insidioso per un motivo molto semplice: il tempo è l’unica cosa che non si può mai restituire. Non si restituisce la gioventù, non si restituiscono le ore di gioco, non si restituisce il valore dello studio in presenza e del confronto con i propri pari. Non ci saranno altri anni per il tempo più tenero dell’adolescenza e quello più consapevole della gioventù.
Per tramutare lo svantaggio in vantaggio bisogna quindi “farsi amici” del tempo, il che significa che dobbiamo trarre le dovute lezioni dalla Storia. E qui il “dobbiamo” è d’obbligo perché è miope pensare che oggi qualcuno possa sottrarsi alla responsabilità di occuparsi dei nostri giovani.
Innanzitutto, in questo tempo da “informazione in tasca” (o meglio, nel telefonino), da guerra in diretta e da comunicazione continua, riconnettersi con la Storia significa informarsi attivamente. Occorre perciò selezionare l’informazione per non venirne travolti, anche perché – e qui vengo al secondo punto – non è possibile concentrarsi sul presente senza pensare con la propria testa. E per pensare con la propria testa bisogna dare ad essa i dati migliori da elaborare.
Informazione ed equilibrio vanno dunque di pari passo, mentre finisce sempre per essere un passo avanti chi ha la generosità necessaria per aiutare gli altri (terzo e ultimo piccolo consiglio per affiancare questa gioventù alle prese con la crisi).
Se le nuove generazioni impareranno ad andare oltre se stesse, il tempo che è stato loro rubato non sarà andato perso e avrà il volto del futuro.
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