Proprio 113 anni fa, con la pubblicazione del primo numero del Corriere dei Piccoli, esordiva ufficialmente in Italia il fumetto. Oggi, secondo gli ultimi dati rilevati dall’Associazione Italiana Editori, nel nostro Paese sono circa 9 milioni i lettori di questo genere. Il 24% di loro è costituito dalla fascia di età tra i 55 e i 74 anni.
All’inizio fu Bilbobul, personaggio uscito dalla fantasia (e dalla matita) del fumettista e illustratore Attilio Mussino. Era il 27 dicembre 1908 e il primo numero del Corriere dei Piccoli esordiva quale prima rivista settimanale di fumetti nel nostro Paese, chiudendo proprio con le avventure di questo bambino africano che il suo autore aveva immaginato in uno sperduto villaggio dell’Africa orientale. All’epoca quest’area del mondo era al centro della politica coloniale italiana e il piccolo Bilbobul, descritto con tutti i clichè del tempo, era il protagonista di brevi avventure. La sua caratteristica particolare? Adeguarsi fisicamente a quanto gli accadeva: diventava rosso per la vergogna o verde per la rabbia, gli occhi potevano uscirgli dalle orbite o le braccia cadergli per la paura.
In questi primi fumetti non c’erano i balloon. Insomma, niente “nuvolette” sulle tavole, ma solo una didascalia in rima al di sotto delle vignette. Tutto sommato, però, poco importava perché attraverso la “porticina” del Corriere dei Piccoli erano giunti in Italia finalmente i fumetti americani e inglesi: Happy Hooligan di Opper, Buster Brown di Outcault, Bringing Up Father di McManus, Katzenjammer Kids di Dirks solo per citarne alcuni. Certo, tutti rigorosamente italianizzati.
Fumetti, solo roba da bambini?
Il fatto che all’inizio il Corriere dei Piccoli si rivolgesse soprattutto ai bambini finì per creare pregiudizi e confinare il fumetto in un contesto esclusivamente infantile. Tuttavia, anche questo tipo di “passatempo” stava ormai ingranando e già negli anni successivi alla Grande Guerra cominciarono ad affacciarsi nuovi personaggi come Sor Pampurio di Carlo Bisi, Marmittone di Bruno Angoletta o ancora – qualche anno più tardi – Pier Cloruro de’ Lambicchi di Giovanni Manca.
Tra gli Anni ’20 e ’30 si crea una chimica editoriale quasi unica: da una parte c’è la produzione “autarchica”, dall’altra un fortissimo fermento di altre testate fumettistiche. Nel 1923 esordisce infatti Il Balilla, un giornale a fumetti propagandistico con nuove storie basate su personaggi eroici. Lo stesso anno nasce Il Giornalino delle Edizioni Paoline, concorrente di forte ispirazione cattolica.
Nel 1930 sull’Illustrazione del Popolo esce in Italia “il” fumetto per antonomasia: Topolino. Tempo due anni e il “topo più famoso del mondo” ottiene una propria testata settimanale edita dapprima dalla Nerbini e poi dalla Mondadori. Intanto si moltiplicano anche gli scenari e i temi. Nella seconda metà degli Anni ’30 infatti arriva Kit Carson di Rino Albertarelli, ispiratissimo al tema del West americano, mentre con Saturno contro la Terra – serie ispirata alle avventure di Flash Gordon – anche la fantascienza fa il suo ingresso ufficiale nel mondo del fumetto nostrano. Ma gli Anni ’30 sono anche una vera e propria fucina di nuove riviste rivolte agli adolescenti. Nascono L’Avventuroso, L’Audace, Il Monello, Intrepido, Argentovivo, Il Vittorioso. Tutti portano grandi novità, nuove storie ispirate ai fumetti americani e inglesi, il passaggio dalla didascalia al balloon.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli Anni ’50 e ’60: la crisi e il fumetto d’autore
La Seconda Guerra Mondiale bloccò la produzione di fumetti. Molte testate dovettero fermarsi e riprendere solo nel 1945, altre chiusero del tutto. Il prezzo elevato e la rarità della carta fecero il resto. Per ovviare al problema, Topolino, Piccolo Sceriffo, Tex sperimentarono un nuovo formato di piccole dimensioni. Dopotutto sono gli anni in cui le didascalie in rima non solo vengono messe da parte a favore dei balloon, ma emergono fumettisti di successo come Benito Jacovitti, autore – fra gli altri – di Cocco Bill, Franco Caprioli, Lino Landolfi, creatore quest’ultimo del poliziotto italoamericano Procopio.
Nascono fumetti di genere avventuroso nel formato ad albo con la storia di un solo personaggio, come Asso di Picche o Misterix. Il genere più fecondo però resta quello western, come Piccolo Sceriffo, Tex Willer, Pecos Bill, Capitan Miki, etc. Ma – come dicevamo – gli Anni ‘50 registrano soprattutto il successo dei fumetti tascabili grazie anche alla Mondadori che comincia a pubblicare Topolino in tale formato. È anche il caso di Pepito di Luciano Bottaro, Tiramolla di Roberto Renzi o Pugacioff di Giorgio Rebuffi.
Con gli Anni ’60 comincia a delinearsi il fumetto d’autore. È un rinnovamento che investe sia l’aspetto grafico che narrativo, come dimostra l’uscita di un capolavoro di Hugo Pratt quale Una ballata del mare salato, primo episodio del suo personaggio più famoso: Corto Maltese. Nasce inoltre la figura dell’eroe negativo, dagli atteggiamenti anarcoidi. È il caso di Diabolik, criminale spietato, che debutta nel 1962, proponendo un ribaltamento della morale, così come Kriminal, Satanik. Ma sono anche gli anni di Sturmtruppen di Bonvi e di Alan Ford di Max Bunker e Magnus, serie quest’ultima fortemente innovativa.
Anni ’70, in Italia fumetti e TV si incontrano
Gli Anni ’70 portano un’altra ventata di novità. Con programmi come Gulp! (1972) e SuperGulp! Fumetti in TV (1977) i fumetti sbarcano in televisione. Bonvi, Bruno Bozzetto, Hugo Pratt, Silver e Sergio Bonelli sono alcuni dei nomi più illustri di questo mix di mezzi di comunicazione. Ovviamente non sono cartoni animati. Le vignette sono riprese e trasmesse in successione, proprio come se si stesse leggendo un fumetto, mentre le battute dei personaggi sono interpretate da doppiatori.
Sono gli anni di Linus, della satira che vive un’impennata, mentre – oltre alle produzioni internazionali di Crumb, Trudeau, Wolinski, Reiser, etc. – vanno forte autori italiani come Pratt, Altan, Calligaro, Pericoli, Vincino, Vauro, Staino. Case editrici come la Bonelli si ritagliano un posto importante sia grazie alla pubblicazione di testate storiche come Tex, Zagor, Il Comandante Mark, sia grazie a nuovi personaggi come Mister No e Ken Parker, oltre che alla collaborazione con autori di fama internazionale come Battaglia, Bonvi, Buzzelli, Crepax, Manara e Micheluzzi. L’Editoriale Corno, invece, ottiene nel 1970 i diritti di pubblicazione dei supereroi Marvel. Arrivano serie che registrano un incredibile successo come Uomo Ragno, Fantastici Quattro, Capitan America, solo per citarne alcuni.
Gli Anni ’80 e ’90, la crisi del fumetto, la ripresa e il nuovo panorama di autori
Gli Anni ’80 portano con sé pubblicazioni d’autore come Martin Mystère di Alfredo Castelli e Dylan Dog di Tiziano Sclavi. I fumetti di supereroi americani scompaiono lentamente dagli scaffali delle edicole. Solo nel 1993 la Marvel Comics deciderà di riprendersi i diritti e di fondare la Marvel Italia. Ma questi sono anche gli anni di Lupo Alberto di Silver e di Frigidaire, mensile antologico che dal 1980 presenta il nuovo fumetto di autori italiani e stranieri. Tra i primi spicca un indimenticato e indimenticabile Andrea Pazienza con tutto il suo caleidoscopio di personaggi surreali.
Gli Anni ’90 vedono un costante testa a testa tra “vecchio e nuovo”. Da una parte c’è Dylan Dog di Sclavi, il secondo fumetto più venduto in Italia, dall’altra l’intramontabile Tex, primo in classifica per vendite. Esordisce con successo anche Nathan Never, mentre i manga giapponesi cominciano la loro inesorabile ascesa nel panorama fumettistico italiano dopo aver nicchiato per diversi anni.
Ma è nel 1995 che fa la sua comparsa nel mondo dei fumetti in Italia una serie capolavoro: Rat-Man. Leo Ortolani, il suo autore, insegue con capacità la linea parodistica dei supereroi statunitensi, regalando al suo personaggio una longevità notevole, nonché un grande successo sia di pubblico che di critica. In pochi anni il personaggio di Rat-Man diventa un fenomeno di culto. Tra battute fulminanti, capacità di far riflettere e intenerire, Ortolani ogni volta regala piccoli gioielli di narrazione grazie a questo personaggio “dal muso di scimmia”. Spesso sono a puntate, geniali reinterpretazioni e un’originalissima storia che ruota tutta intorno al personaggio di Rat-Man. Senza dubbio una delle più geniali forme di metafumetto degli ultimi anni.
Il caso Zerocalcare: da Rebibbia a “Strappare lungo i bordi”
Dal coinvolgimento politico dei centri sociali a Netflix la strada potrebbe sembrare lunga e invece non è così. Michele Rech, in arte Zerocalcare, ha attraversato gli ultimi dieci anni della sua carriera da fumettista collezionando successi, premi, riconoscimenti che vanno al di là del suo amato quartiere di Rebibbia (un luogo che, come lui stesso sostiene, non abbandonerebbe mai, per nulla al mondo).
Da quel 2011 in cui è uscito il fortunatissimo La profezia dell’Armadillo (il titolo è legato al personaggio dell’Armadillo, quasi onnipresente nelle storie di Zerocalcare), di strisce disegnate ne sono passate. Soprattutto sul web, visto che Zerocalcare quello stesso anno apre un blog a fumetti in cui presenta brevi racconti a sfondo biografico. Nel 2012 pubblica Un polpo alla gola, secondo albo a fumetti e altro successo, seguono Ogni maledetto lunedì su due (2013) e Dodici (2013), Dimentica il mio nome (2014), Kobane Calling (2015), L’elenco telefonico degli accolli (2015), Macerie prime (2017), Macerie prime sei mesi dopo (2018).
Ma il vero colpo di genio, senza nulla togliere ai suoi fumetti, restano i corti animati di Rebibbia Quarantine trasmessi durante il lockdown del 2020. Il loro successo ha dato spunto, lo scorso novembre, alla serie animata Strappare lungo i bordi sulla piattaforma Netflix. Qui “Zero” (come si fa chiamare talvolta) è autore, interprete, voce narrante. Sempre accompagnato ovviamente dall’immancabile Armadillo, rappresentazione della sua coscienza, doppiato questa volta dalla voce di Valerio Mastandrea.
Strappare lungo i bordi è talmente bello da sembrare troppo breve con le sue sei puntate. La serie ruota attorno a un viaggio che lo stesso Zerocalcare e due amici affrontano. Il motivo del viaggio non appare in tutta la sua chiarezza se non verso la fine. Nel corso degli episodi infatti la linea del tempo fa avanti e indietro. È un susseguirsi di racconti e flashback della vita dello stesso Zero, un continuo saltare tra passato e presente, ricchissimo di citazioni tratte da serie televisive, libri, cultura hardcore punk. Il rischio (o forse il piacere) è di ritrovarsi invischiati in tante espressioni dello stesso autore, di rendersi conto che il suo disagio e le sue riflessioni potrebbero essere anche le nostre.
Sarebbe riduttivo dire che Strappare lungo i bordi sia semplicemente un piccolo capolavoro: è uno specchio in cui guardarsi e ritrovarsi, è un interessante passaggio del linguaggio del fumetto sullo schermo in cui musica, andamento narrativo, ironia, crudezza, tempi comici e forse anche dolcezza e umanità trovano un tempo perfetto.
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